“Non c’è niente di più triste di un pallone sgonfio”.
Pelè
Una figura femminile di straordinaria eleganza associabile alla Nike di Samotracia che sorregge verso l’eternità dei cieli una coppa dorata decagonale su di un piedistallo di marmo ottagonale, il tutto in 3800 g per 30 cm di altezza. No, non è una statuetta greco-romana od etrusca. Scolpita nel 1946 dall’artista Abel Lafleur, la coppa fa parte della storia, ahimè molto spesso dimenticata dai più giovani, del calcio. Molto prima della Coppa del Mondo come ce la figuriamo oggi c’era lei, la Coppa Rimet che ha dominato l’immaginario grafico e simbolico del calcio giocato. Nata nel 1928 ma fatta conoscere al mondo due anni dopo coi mondiali di Uruguay 1930, la coppa, nominata fino al 1946 con il titolo di “Vittoria” (il trofeo, fino al ‘46 rappresentava solo la dea Vittoria con le ali, senza sorreggere la coppa fra le ali) veniva assegnata ogni 4 anni alla squadra vincitrice del torneo mondiale delle nazionali per poi, dopo la seconda guerra mondiale, chiamarsi definitivamente Coppa Rimet. Ma perché Rimet? E soprattutto chi era Rimet? Jules Rimet nacque in Francia, a Theuley nel 1873 e quando da piccolo aiutava il padre in una drogheria parigina non sapeva che sarebbe diventato l’uomo più famoso del calcio. Studiò giurisprudenza e divenne avvocato in pochi anni, a 25 anni fondò il giornale La Revue poi unitosi al Le Sillon, quotidiano di stampo cristiano-democratico.
Ma tutte queste pratiche giornalistico-politiche li stavano strette. Il suo vero unico amore era il calcio, sport giovane per quegli anni ma che lo affascinava sempre più tanto che col fratello Modest decide di creare a Parigi una squadra di giovani, la Red Star, club che entrò di fatto nell’allora federazione sportiva francese USFSA, una delle società che contribuirono poi alla nascita della FIFA. Fissato con il professionismo sportivo Rimet parlò con l’organizzatore delle Olimpiadi di Londra 1908 Lord Desborough per il progetto di inserimento calcio nella competizione, riuscendoci in modo storico in quanto prima volta di un approdo calcistico in tale importante torneo. Quell’anno fu l’Inghilterra, allora molto avanti nel gioco del pallone, a vincere la prima olimpiade di calcio e Rimet rimase così entusiasta da portare avanti come un tragitto di Colombo la sua idea di calcio giocato. Creò nel 1910 la Ligue Football Association e poi partì in cavalleria nelle Grande Guerra 5 anni dopo.
Il duro conflitto non lo discostò minimamente dalla sua passione fervida per la palla e nel 1921 diventò, dopo Guerin e Woolfall, presidente assoluto dell’organizzazione FIFA, nata nel 1904 grazie anche ai suoi sforzi, divenendo la società più importante del calcio e una delle più importanti dello sport. Intanto la sua Red Star vince e parecchio anche. Per tre anni consecutivi 1921,1922,1923 e nel 1928 il club dominò la Coppa di Francia che allora si classificava come primissimo torneo della nazione. Ma l’ideale di Rimet sublimò a partire dal 1928 quando ad Amsterdam, dopo le olimpiadi del medesimo anno disputatesi nella città olandese, propose, riuscendoci alla grande, un torneo mondiale solamente calcistico che potesse competere con la grandezza dei giochi di Olimpia.
Ed ecco che, come Colombo o un Da Gama, il 12 giugno 1930, a bordo della nave SS Costa Verde, salpò con tre squadre europee (Francia, Romania e Belgio mentre la Jugoslavia salì su altra nave) e con la Vittoria in valigia, da Ville sur Mer in direzione Montevideo. I Mondiali in Uruguay presero avvio, i primissimi nella storia del calcio. A vincerli furono i padroni di casa, allora la nazionale più forte del mondo che aveva già vinto l’oro a Parigi ’24 ed a Amsterdam ’28, i quali alzarono per la prima volta la Vittoria Alata alle nuvole. Rimet fu entusiasta e il mondo aveva un suo torneo calcistico di proporzioni mediatiche elevatissime.
La FIFA decise che i mondiali si sarebbero realizzati ogni 4 anni, come le Olimpiadi. E furono i mondiali di Italia ’34 e Francia ’38 i più discussi della sua carriera. I primi sotto l’egemonia fascista, con faccioni di Mussolini sugli spalti e saluti romani, i secondi sotto la tensione da rasoio delle svastiche naziste con Hitler sugli spalti. Entrambi i tornei furono dominati dagli azzurri di Pozzo ma Rimet fu criticato per aver consentito a due dittatori di partecipare ai mondiali. D’altronde poco si poteva fare e Jules incassò le polemiche nei cassetti della FIFA. Poi il secondo conflitto che traumatizzò il mondo, calcio compreso. Le scorribande naziste che raziavano le città dei loro tesori costrinsero l’ingegnere Barassi, allora vice presidente della FIFA a nascondere la coppa che teneva in casa sotto il letto, dentro una scatola di scarpe, per paura che i soldati la rubassero. Impresa riuscita, la coppa a fine conflitto era ancora intatta in casa dell’ingegnere. Per tutti gli anni ’40 non si disputarono tornei sportivi (a parte i semisconosciuti giochi olimpici dei prigionieri di guerra nel 1940 nello stalag di Langwasser, non ufficiali ovviamente) ma Rimet, il visionario presidente, non si arrese e decise di intervenire drasticamente anche a livello nazionale.
Decise di far subentrare nel campionato francese anche squadre estere, fra le quali i tedeschi del Saarbuck ma le società francesi gli preferirono la neopromossa alla prima divisione Bordeaux, andando così contro al progetto di Rimet. Era il 1949 la clamorosa vicenda fu chiamata proprio “Caso Saar”. Jules, a testa bassa, non potè far altro che abbandonare il suo proponimento. Ma un altro mondiale era alle porte, quello di Brasile ’50, quello del Maracanazo, quello dove in finale, dopo la vittoria dell’Uruguay sui padroni di casa, ci fu un lutto nazionale per tutto il paese, con morti, feriti, e gente che finì sul lastrico dopo aver puntato tutto sui carioca. Jules quel 16 luglio a Rio de Janeiro si trovò in imbarazzo nel premiare la squadra di Ghiggia (clicca qui per leggere la sua storia) e Schiaffino sotto gli occhi lacrimosi e neri di rabbia e sconforto dei brasiliani. Scappò diretto dallo stadio verso l’aeroporto, in quella che fu una Vittoria di sangue anzi in una Coppa Rimet di sangue perché il trofeo fu di fatto nominato col cognome del nostro Jules, a partire dal ’46 dopo una assemblea FIFA a Lussemburgo. E proprio dalla FIFA il nostro Rimet scioglie le redini e decise di concludere la sua carriera da presidente, proprio dopo i mondiali vinti dai tedeschi di Svizzera ’54.
Candidato al Nobel per la pace nel 1956 senza però vincerlo (forse per le polemiche ricevute dal mondo per le due figure dittatoriali in tribuna nelle edizioni del 1934 e del 1938) Jules Rimet, l’uomo più importante del calcio morì il 16 ottobre dello stesso anno, lasciando un vuoto incolmabile nel mondo sportivo. Dopo di lui la Coppa Rimet sembrò quasi prendere vita ad una maledizione egizia. Fu rubata nel pre -Mondiale di Inghilterra ’66 da un portuale disoccupato di nome Bletchley (con idea di riscatto) e ritrovata da un cagnolino, Pickles, sotto una siepe di Londra. Poi ritirata definitivamente dal Brasile con la vittoria (la terza dopo il 1958 e il 1962) a Messico ’70 e rubata un’altra volta, definitivamente, nel 1983, replicata poi dall’azienda Kodak per il presidente brasiliano João Baptista de Oliveira Figueiredo. Dopo il ’70 fu l’avvento della Coppa del Mondo creata da Gazzaniga come la conosciamo oggigiorno, un piccolo mappamondo sorretto da due atleti esultanti, 18 carati di oro massiccio. Più pomposa e se vogliamo più moderna e profana rispetto alla sacralità di Vittoria. Morto Rimet se ne andò un pezzo di storia del calcio a cui tutti dobbiamo aggrapparci prima o poi per salire a raccogliere i frutti del suo albero. Durante il mondiale di Germania 2006 il pullman della nazionale francese aveva scritto “Libertè, Egalitè, Jules Rimet”, omaggio patriottico di chi il calcio europeo lo ha plasmato a propria immagine e somiglianza.