“La partita più bella è quella che vinci”
L. I. Yashin
“Certe volte chiudevo gli occhi e pensavo a Gagarin. Cercavo di immaginare cosa avesse provato nello spazio. Forse la stessa gioia che si prova a parare un calcio di rigore. O forse no, parare un rigore rende più felici”. Nel 1967 gli fu attribuita la medaglia all’Ordine Lenin. Nel 1986 l’Ordine Olimpico. Nel 1989 l’onoreficenza come Eroe dell’Unione Sovietica. No, non è un generale o una carica politica russa. E’ solo un giocatore di calcio, un portiere. Forse il più grande portiere di sempre. Nato a Mosca nel 1929 di Lev Ivanovic Yashin ne compare al mondo uno al secolo probabilmente. Alto 1,89 cm in mezzo ai pali parava come se al posto di due braccia e due mani ne avesse 50 o 100, come Briareo o le teste dell’Idra. 86 rigori parati nella storia, senza contare quelli non ufficiali. Un record per un player nel suo ruolo. Lui che, durante la Seconda Guerra Mondiale, a 11-12 anni lavorava per mantenere la famiglia in una fabbrica sovietica, lui che per diletto si divertiva ad afferrare al volo bulloni e viti che i piccoli colleghi gli lanciavano nella catena di montaggio. Riflessi di fulmine e mani d’acciaio che sarebbe diventato da quelle scartoffie di ferro una leggenda. A 20 anni venne chiamato a giocare nella Dinamo Mosca, squadra che fin dai tempi del ministro dell’interno russo Dzerzhinsky era protetta dall’ombra della Ceka, la polizia segreta sovietica . Alla primissima occasione con i biancoazzurri in un’amichevole contro il Traktor Stalingrado Lev fallì alla grande prendendo un gol addirittura dal calcio di rinvio del portiere avversario: saltò per acchiappare la palla ma si scontrò con un suo compagno di squadra e la sfera finì in rete. Stesso errore madornale una gara successiva quando sostituì a tre minuti dalla fine il titolare Khomic e prese un gol uguale. Negli spogliatoi un parapiglia. Fu cacciato da un dirigente che gli urlò “Deficiente!” e il morale di Yashin giù nel profondo buio del calcio. “Mi avesse detto almeno ‘idiota’ avrei potuto invocare Dostoevskj!”, disse anni dopo ad un giornale russo. Dal calcio all’hockey sul ghiaccio. Una terza occasione contro la Dinamo Tbilisi fallì ancora e la società lo convinse a passare a questo sport.
Lev così si trovò imbacuccato e svelto fra i piccoli pali del club Dinamo Mosca (stesso nome del club di calcio) a parare un puck anziché un pallone ma quel disco di gomma ricordava i bulloni della fabbrica e il nostro portiere si comportò egregiamente nel campionato sovietico tanto da conquistarlo nella stagione 1953-54. Per fortuna di questo sport (si perché le disgrazie per alcuni sono a volte fortune per altri) il titolare Khomic un giorno si fece male male e alla Dinamo Mosca fu richiamato Yashin. Pian piano si guadagnò agli occhi del pubblico russo il rispetto meritato. Grazie alle sue prodezze davanti alla porta la Dinamo Mosca vinse il campionato nel 1955 e Lev fu convocato per disputare con la nazionale le Olimpiadi di Melbourne ’56. Guidata da Kacalin l’Urss nel primo turno sconfisse la Germania (2-1), ai quarti l’Indonesia (4-0), in semifinale la Bulgaria (2-1) e in finale la fortissima Jugoslavia (1-0). Medaglia d’oro più che meritata e alla prestanza fisica di giocatori quali Kolev, Isaev e Ilyin si aggiunsero i voli d’aquila di Lev che da quella occasione divenne titolare inamovibile della nazionale e della Dinamo Mosca. I tifosi iniziarono a darli il soprannome di Паук черный, il Ragno Nero per la facilità con cui parava i tiri avversari, come un ragno saltellante sulla sua ragnatela invisibile e per quella casacca nera (ma lui giurava che fosse blu scuro) che sua moglie Valentina gli lavava tutti i giorni… Dopo un altro campionato vinto nel ’58 l’occasione principe arrivò con i Mondiali di Svezia ’58. Nel girone iniziale persero con il Brasile di Pelè e Garrincha (clicca qui per leggere la sua storia) , vinsero con l’Austria e anche lo spareggio con l’Inghilterra per accedere ai quarti di finale. Qui incontrarono la Svezia, padrone di casa, che vinse facile 2-0.
L’Urss non fece sfracelli ma iniziò con calma ad impostare un gioco essenzialmente fisico, come il suo agile portiere. In 5 gare Yashin subì 6 reti, non un mondiale esaltante quindi. Yashin però non si arrese, vinse ancora in patria nel ’59 e l’anno successivo arrivò il primo vero meritato trofeo: la coppa europea di Francia 1960. Una cavalcata che cominciò fin dagli ottavi di finale (una volta l’europeo di calcio iniziava a partire dalle semifinali, le partite precedenti venivano considerate per lo più come qualificazione alla competizione) contro l’Ungheria (3-1, 1-0) per poi passare lisci come burro sull’olio direttamente alle semifinali dopo che ai quarti la Spagna si ritirò dalla competizione ancora prima di giocare la gara d’andata. Qui vinsero 3-0 contro la Cecoslovacchia e finalmente l’ambito successo a Parigi in finale 2-1 contro la Jugoslavia, ancora una finale con loro dopo quella di Melbourne, ancora una vittoria. Yashin subì solo 2 gol nella competizione e la Russia cominciò a credere in lui. Cominciò a crede nei suoi due cappellini che portava sempre ad ogni partita (“Uno lo lanciavo sempre quando dovevo colpire di testa”) e al fatto che, leggenda vuole, ogni volta che parasse un tiro dal dischetto cercasse fra i pali un quadrifoglio da tenere in tasca. A 30 anni passati Lev che parava i bulloni e che veniva chiamato Deficiente negli spogliatoi divenne una specie di dio del calcio. Un altro mondiale si affacciò con prepotenza, quello di Cile ’62. Per l’ennesima volta l’Urss uscì ai quarti contro dei padroni di casa, in questo caso il Cile. Finì 2-1 la gara, giocata per parecchi minuti da Lev con una benda all’occhio dopo un infortunio sul campo.
Pirata Lev Yashin al rapporto! E sì che la nazionale si era comportata bene fin dal girone iniziale dove si guadagnò 5 punti con le vittorie su Jugoslavia (l’ennesima), su l’Uruguay e un pareggio killer per 4-4 contro la Colombia. Yashin e soci lasciarono il mondiale con una seconda semifinale sfumata dopo quella di 4 anni prima. Ma fu impossibile che il France Football non potesse accorgersi di lui. Nel 1963, dopo aver strabiliato lo stadio Wembley in una amichevole fra Urss e Inghilterra, giunse un altro campionato (6 reti subite in 27 gare!) ed arrivò finalmente il Pallone d’Oro per Lev che si piazzò primo al podio ai danni di Rivera e Greaves.
Il primo ed unico portiere ad aver vinto il prestigioso riconoscimento calcistico, un trofeo certamente più meritato che mai. Ma a fine anno tutto era pronto per un altro europeo, quello di Spagna ’64. Agli ottavi (10 novembre 1963) lo storico incontro di ritorno con l’Italia che perse 2-0 all’andata, partita terminata 1-1 con un rigore di Mazzola neutralizzato dal nostro Lev. “Yashin era un gigante nero: lo guardai cercando di capire dove si sarebbe tuffato e solo tempo dopo mi resi conto che doveva avermi ipnotizzato. Quando presi la rincorsa vidi che si buttava a destra: potevo tirare dall’altra parte, non ci riuscii. Quel giorno il mio tiro andò dove voleva Yashin”, confessò Mazzola anni dopo. Lev il ragno nero, Lev il pirata, Lev l’ipnotizzatore, Lev che soffriva spesso di bruciori di stomaco e che si portava sempre addietro una bustina di bicarbonato. Quegli europei non finirono bene per l’Urss che fallì solo in finale con la Spagna (2-1). Ma Yashin e compagni uscirono a testa alta come non mai.
La nazionale diventava anno dopo anno sempre più forte e due anni dopo si partì alla grande con i mondiali di Inghilterra ’66 quando l’Urss fece 6 punti netti dopo le vittorie con la Corea del Nord di Pak Doo Ik (clicca qui per leggere la sua storia), l’Italia e il Cile (in cui si prese la rivincita dopo i quarti del mondiale precedente). Ai quarti di finale la vittima fu l’Ungheria e in semifinale si dovette arrendere alla fortissima Germania di Beckenbauer e Muller (clicca qui per leggere la sua storia).
Arrivò quarta quel mondiale, il miglior piazzamento della Russia in questa competizione, perdendo il terzo posto con la sorpresa Portogallo di Eusebio (clicca qui per leggere la sua storia). Yashin fu il vero totem del mondiale, il giocatore più importante, quello forse più seguito assieme alla pantera nera portoghese. Furono gli ultimi anni calcistici di Lev che vincerà ancora in patria con la Dinamo Mosca due coppe sovietiche, le Kubok SSSR nel ’67 (3-0 al Cska Mosca) e nel ’70 (2-1 con la Dinamo Tbilisi) e parteciperà, seppur come riserva, a Brasile ’70 (dove la Russia finì la competizione ai quarti con l’Uruguay). Il 27 maggio 1971 a Mosca l’addio al calcio nella partita contro le All Stars davanti a 100.000 persone fra lacrime ed applausi. “E’ stato il più grande portiere di tutti i tempi” disse di lui Eusebio. Anni dopo iniziò il suo calvario. Nel 1985 gli venne amputata una gamba al seguito di una brutta trombosi e nel 1990 morì per un cancro allo stomaco mentre l’Unione Sovietica implodeva dal suo interno, sfaldandosi come le conclusioni avversarie nella sua porta. L’Istituto Internazionale di Storia e Statistica del Calcio (IFFHS) lo piazzò al primo posto come miglior portiere del secolo. “Giocate a calcio non per diventare ricchi e famosi ma per fare sport”. Fu questo il lascito di Yashin ai giovani calciatori finlandesi che allenò per alcuni anni dopo aver appeso i guantoni al chiodo. I guantoni più affascinanti che il calcio abbia mai indossato.