Fischio conclusivo, è finita. I rossi hanno vinto, il Liverpool batte il City. Lo stadio urla a gran voce, tutti hanno capito il valore e il significato di quel momento, di quel risultato. I giocatori in maglia azzurra escono dal campo amareggiati, mentre in mezzo al campo parte la festa a tinte rosse. La vittoria del campionato non è ancora in tasca, ma il miraggio comincia a prendere forma. C’è Brendan Rodgers che dopo un secco gesto di liberazione dopo quei 90 minuti infernali corre a sautare Pellegrini; c’è Skrtel, autore di uno dei tre gol partita segnati dai Reds, che abbraccia Johnson e poi c’è lui. Non ha segnato, ma la squadra in campo non sarebbe la stessa senza di lui, nessuno si spende così tanto per aiutare il gruppo, nessuno sgomita, corre e ci crede quanto lui.
Gerrard è li, tutti i suoi compagni corrono ad abbracciarlo, Sakho, Flanagan, Mignolet, arrivano tutti. Il capitano scoppia in lacrime rivolgendo lo sguardo in cielo: quella non è stata una partita come le altre, quella non è stata una vittoria come le altre. Nelle sue lacrime le speranze, il sogno di una squadra e una città intera così come l’onore della memoria per le vittime dell’Hillsborough di cui si è celebrato il ricordo prima del fischio iniziale della gara. “Gli occhi che piangono di più sono anche quelli che vedono meglio”, diceva lo scrittore francese Hugo. Il capitano piange perché vede, vede la sua squadra vincere la decima gara di fila, vede i suoi compagni battere una delle due più dirette concorrenti per il titolo, vede i suoi 17 anni di carriera al servizio della stessa maglia, vede il suo primo titolo di campione d’Inghilterra e il 19^ scudetto dei Reds a distanza di 24 anni, vede Jon-Paul, suo cugino, una delle più giovani vittime di quel 15 aprile di 25 anni fa. Tutto in quelle lacrime: la gioia e la fatica della vittoria, la speranza, l’orgoglio e il dolore.
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Dura poco, l’abbraccio di conforto dei compagni diventa un momento di raccolta. E così il capitano diventa generale vittorioso, il condottiero che sa di essersi aggiudicato la battaglia, ma di dover ancora vincere la guerra. I suoi soldati sono pronti ad ascoltarlo, quasi in trans si nutrono dei suoi ordini, delle sue parole. “Listen, this is gone. We go to Norwich. Exactly the same. We go together. Come on!”. Nel vasto mosaico della sua carriera, lo scudetto è l’unico tassello mancante, il successo che completerebbe la sua formidabile carriera trascorsa interamente, anche dalle giovanili, con la stessa maglia rossa. 664 presenze e 173 gol, successi nazionali e internazionali. Manca solo lo scudetto. Steven ci crede, il Liverpool ci crede. Il generale sensibile ha suonato la carica, il campionato è terra di conquista.