“Non si ricordano i giorni, si ricordano gli attimi”
Cesare Pavese
Immero a testa in giù nel fiume Stige dalla madre Teti, Achille probabilmente non poteva sapere che il suo famoso e vulnerabile tallone sarebbe stato invece, a distanza di quasi 3 mila anni, il punto di forza di un giovane giocatore mediterraneo che di nome fa Rabah Madjer. Classe 1958 Rabah nacque ad Algeri, città dalla millenaria storia, a cominciare dal sangue dei genitori che cabili di origine avevano nei loro cromosomi le rivolte delle famose Cinque Tribù algerine che tanto fecero tremare l’impero romano e che diedero al giovane ragazzo grinta da vendere e voglia di fare. Questa foga Madjer iniziò ad esprimerla nei campi terrosi della città vestendo come attaccante, a cominciare dal 1973, la maglia dell’Hussein Dey. “Sang Et Or” è il loro motto e l’algerino è già un fulmine in area. Nel 1979 conquista la Coppa d’Algeria battendo 2-1 lo Jetizi Ouzou (dopo averne persa una due anni prima contro il JS Kawkabi). Le doti di Rabah, dopo quasi dieci anni ad alto livello agonistico non passarono inosservate e la nazionale lo convocò di peso per i Mondiali di Spagna ’82.
In un girone 2 di ferro, contro Germania Ovest, Austria e Cile, la squadra algerina uscirà a testa alta, dopo un piccolo grande biscottone fra i tedeschi e gli austriaci che condanneranno la formazione allora guidata dal triumvirato Rogov, Maouche e Saadane a non accedere al girone successivo per differenza reti. Ma su tre gare l’Algeria ne vinse due: la prima per 2-1 contro la corazzata tedesca di Rummenigge (clicca qui per leggere la sua storia), Breitner e Briegel nel quale Rabah segnò una rete, la seconda contro il Cile per 3-2 dopo aver perduto per 2-0 contro l’Austria di Krankl (clicca qui per leggere la sua storia). Madjer e la sua nazionale uscirono con qualche rimpianto dalla competizione ma con la consapevolezza di aver sconfitto il panzer tedesco. Gli anni successivi furono la svolta per la carriera di Madjer. E’ la squadra francese del Racing Club de Paris questa volta ad interessarsi del giocatore.
Il patron Jean-Luc Lagardère volle fare del club una potente arma d’assalto, come lo è oggigiorno il PSG. Forse una esagerazione, forse no. In ogni caso Madjer si comportò bene con i bianco celesti e in due anni, dal 1983 al 1985 realizzò 23 gol su 50 presenze. Venne successivamente ceduto per una manciata di mesi ad un altro team francese, quello del Tours in cui Rabah giochicchiò senza però trovare il consenso dei tifosi. Furono i prodromi dell’olimpica gloria, come direbbe Pindaro. I dragoes del Porto gli spalancarono i cancelli di Oporto e a cominciare dal 1985 Rabah entrò di prepotenza nel mito del calcio. Al primo anno portoghese conquistò una Primeira Liga (il campionato nazionale) ed una Supercoppa di Portogallo vinta ai danni del Benfica (1-1 all’andata, 4-2 al ritorno). Madjer primeggiava in attacco con assist e incursioni incredibili, spina d’acciaio conficcata nelle reni dei difensori avversari e dopo 4 anni dal mondiale spagnolo l’allenatore Seedane lo convocò nuovamente per gli imminenti Mondiali di Messico ’86. A differenza della competizione precedenti qui l’Algeria gioca male. Il girone D era composto da squadre di ottimo livello come l’Irlanda del Nord, il Brasile di Careca e Socrates e la Spagna di Butragueno (clicca qui per leggere la sua storia). Riuscirono a pareggiare solo con gli irlandesi del nord mentre con le altre due nazionali i punti furono zero. Rabah non si arrese e col Porto, l’anno successivo, fece scintille. Dopo aver battuto i cechi del Vitkovice agli ottavi, i danesi del Brondby ai quarti e gli ucraini della Dinamo Kiev in semifinale, il Porto per la prima volta nella storia si giocò una finale di Coppa Campioni. Ad attenderla nel Praterstadion di Vienna quel 27 maggio 1987 erano i tedeschi del Bayern di Monaco che di coppe ne aveva già vinte 3 in passato quando a dominare l’Europa c’erano un certo Muller ed un certo Beckenbauer. I favoriti erano loro, i bavaresi. Un gol schioccante di Kogl nel primo tempo stava pian piano portando le sorti della gara verso una vittoria tedesca ma a soli 10 minuti dalla fine ecco il genio.
Su un assist del compagno Juary, Rabah si inventò un leggendario gol di tacco che pareggiò i conti. Il “Tacco di Allah” venne chiamato da tutti i giornali, espressione che poteva giocarsela benissimo con la famosa Mano di Dio di Maradona dell’anno prima a Messico ’86. Sembrò proprio che il 29enne attaccante algerino fosse guidato da un dio in persona nel creare quel rischioso ed istintivo gol che si piazzò di getto nel mosaico di questo sport. Tre minuti dopo avvenne la rete del vantaggio: assist di Madjer e Juary che bucò la porta tedesca. In poco tempo un risultato che incanalava il Bayern in un fiume ad acque quiete si trasformò in un mare procelloso per Matthaus e compagni ed un sogno per i portoghesi. Dopo il Benfica di Eusebio (clicca qui per leggere la sua storia), la squadra dell’allenatore Jorge (che con la pantera nera giocò a fianco negli anni ’70) conquistò l’Europa ma non fu abbastanza per i dragoes. Mesi dopo fu la volta della Supercoppa Europea contro l’Ajax allenato da Cruijff, battuto sia all’andata che al ritorno e a dicembre, a Tokyo la Coppa Intercontinentale col Penarol, vinta grazie ad un gol ai supplementari di Madjer su un campo innevato al limite della praticabilità. Rabah venne nominato dalla Confederazione d’Africa “miglior calciatore del 1987”. L’anno successivo ancora un Campionato, una Coppa di Portogallo (Taca de Portugal) ed una Supercoppa entrambe contro il Vitoria Guimares. In tre anni ad Oporto Madjer vinse tutto quello che un giocatore sogna di vincere fin da quando è piccolo. Nei mesi che seguirono Rabah entrò a far parte della formazione del Valencia nel quale però non recuperò il soffio di Allah delle stagioni portoghesi. Ernesto Pellegrini, presidente dell’Inter, lo bramò nella sua squadra che puntava a vincere lo scudetto dopo 9 anni di digiuno, chiudendo l’affare col Porto per 5 miliardi, dopo le insistenze del Bayern di Monaco che invece lo desiderava nella propria formazione.
Con Serena sarebbe stato un formidabile attacco se solo Pellegrini non cambiò idea dopo che lo staff medico dell’Inter, visitandolo, ne espresse il disappunto a causa di un guaio muscolare che aveva l’algerino al seguito di un brutto infortunio buscato nella partita Murcia-Valencia. Rabah, con rammarico, fu costretto ad abbandonare il progetto nerazzurro e ritornò ad Oporto, sicuramente la sua seconda casa dopo Algeri. Nella primavera del 1990 parte in Algeria per la Coppa d’Africa ’90, vinta meritatamente dopo aver battuto nel Gruppo A la Nigeria (5-1, doppietta di Madjer), la Costa d’Avorio (3-0), l’Egitto (2-0), in semifinale il Senegal (2-1) e in finale la Nigeria (1-0).
Nello stesso anno riconquista con i dragoes la Primeira Liga ed una Supercoppa portoghese ai danni dell’Estrela Amadura. L’ultimo suo successo da calciatore arrivò nel ’91, con l’ultima Coppa di Portogallo contro il Beira Mar. Il grande Madjer lasciò così l’Europa per giocarsi l’ultima freccia d’addio nelle file arabe del Qatar SC. Terminò così la straordinaria carriera del maometto del pallone, appendendo le scarpette al chiodo e comprando giacca e cravatta ed una buona dose di oratore per diventare allenatore della nazionale algerina fra gli anni ’90 e i primi anni duemila e del club arabo dell’Al Wakra con cui vinse un campionato nel ’99. E se Achille lasciò a Paride il suo nudo tallone, pronto per essere colpito dal micidiale dardo troiano causandogli la morte, quello di Madjer, toccato il cuoio, portò all’algerino la nascita, lo sbocciare nel mito del calcio, come le ginestre che respirano sul porto di Algeri.
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