Bora Milutinovic, il giro del mondo in 80 panchine

“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”.

M. Proust

USA Soccer Training
con la moglie Mari

Non sempre si può vincere. Per fare la storia non è necessario essere primi, anche quelli che stanno in seconda, terza, ultima fila la fanno in un modo o nell’altro. E’ il caso di Bora Milutinovic, Velibor all’anagrafe, classe 1944, uno degli allenatori più famosi del mondo. Sì perché da Bajina Basta, in Serbia, luogo in cui nacque, Bora girò il mondo come un piccolo Fogg nell’omonimo romanzo di Verne. Non ci mise 80 giorni bensì una trentina di anni. Ma ne valsero la pena per dipingerlo nell’affresco del Calcio. Ma partiamo dall’inizio. Prima di diventare il leggendario allenatore che è oggi, Bora da ragazzo fu un discreto centrocampista che militò prima in tre formazioni francesi quali il Monaco, il Nizza (con cui vinse una Supercoppa di Francia nel 1970 battendo il St. Etienne in finale) e il Rouen e successivamente nel club che gli cambiò la vita, il messicano Pumas e a Città del Messico conosce la donna che diventerà sua moglie. “Nascere poveri è una sfortuna, sposarsi una povera è da scemi!” dirà in un’intervista Milutinovic. Infatti la moglie è ricca e lui diventa milionario. Il paese dei cactus e di Pancho Villa gli gusta mucho, richiede la cittadinanza e finita la carriera da calciatore decide di allenare i puma. Vince due Campionati Messicani nel 1977 dopo aver sconfitto in finale i leoni neri dell’Universidad de Guadalajara e nel 1981 battendo i biancoazzurri del Cruz Azul. Con una buona squadra guidata in attacco da Hugo Sanchez, futuro campione col maglia del Real Madrid, domina non solo in Messico ma anche nel continente americano. Bora infatti trionfa nel 1980 nella CONCACAF (la Champion’s League nord-americana) contro il Broncos in finale e conquista la Coppa Interamericana (gara fra la vincitrice della CONCACAF e della Copa Libertadores) nella finale-spareggio con il Nacional Montevideo vinta per 2-1 (dopo la vittoria per 3-1 all’andata e la sconfitta col medesimo risultato al ritorno). Nei suoi primi 4 anni da allenatore Bora vince già molto tra il Nord e Sud americani e in Messico è una star assoluta.

La nazionale lo chiama a gran voce a guidare il Messico per le qualificazioni ai Mondiali del 1986. Milutinovic accetta senza se e senza ma e ci riesce, portando la squadra al Girone B dei mondiali. La competizione si gioca in casa, qual avvento migliore. Bora parte forte. Batte il Belgio di Scifo 2-1, fa 1-1 con il Paraguay e batte anche l’Iraq per 1-0. Con 5 punti è prima nel girone e si catapulta agli Ottavi di Finale. Incontra la Bulgaria e vince con un secco 2-0. E’ il momento dei quarti di iinale, obbiettivo raggiunto già in Messico 1970. Pare un deja vu ma si spera in un risultato migliore. 16 anni prima l’Italia di Valcareggi aveva eliminato il Messico con un umiliante 4-1. C’è la fortissima Germania Ovest di Rummenigge, Briegel e Matthaus la nazionale di Bora difende egregiamente il campo e dopo un bel 0-0 per 120 minuti si arrende ad un medesimo risultato come nel 1970, 4-1 ma stavolta ai calci di rigore. Finisce qui il mondiale messicano di Milutinovic ma si esce a testa alta, con onore. Bora non può dir nulla ai suoi, hanno disputato una bellissima competizione sfumata con i futuri vice-campioni del mondo che verrano poi sconfitti in finale contro l’Argentina di Maradona. Nella seconda metà degli ’80 Bora allena squadre di club quali il San Lorenzo e per sole 9 gare l’Udinese del patron Pozzo in serie B nel 1987 ma gli scarsi risultati in entrambe le formazioni lo convincono che la sua carriera è più legata alle nazionali per via della sua capacità volpina di selezionare i giocatori.

Nel 1990 un’altra importante avventura, quella in Costa Rica ad allenare la nazionale per i Mondiali di Italia ’90. Con i Ticos Bora affronta un bel mondiale dal punto di vista del gioco e da quello che i suoi giocatori, non certo fenomeni, potevano dimostrare sul campo. Nel girone C esce con 4 punti guadagnati sulla Scozia (1-0) e sulla Svezia (2-1) perdendo solo con il Brasile di Careca (1-0). La storica qualificazione della Costa Rica agli Ottavi rimbalza per tutto il Centro America. Bora ha già vinto, nel suo piccolo. Si fermerà con la Cecoslovacchia di Skuhravy (clicca qui per leggere la sua storia) ma la carriera di allenatore di Milutinovic sembra anche quella di portare non solo fama nelle nazioni che questo sport lo avevano visto prima di allora solo attraverso il cannocchiale ma anche la speranza di un futuro calcistico migliore per i singoli giocatori.

“Salutando tutti quanti con la mano facendo Ciao!” cantava Lucio Dalla. La mascotte Ciao di Italia ’90 dice addio all’esperienza mitica di Bora alle redini con foglie di cocco e di banano della Costa Rica ma non è ancora finita qui. L’anno successivo gli Stati Uniti si preparano pian piano ad ospitare a casa loro i Mondiali 1994. Cercano un allenatore di esperienza interzionale che possa far fare bella figura ad una squadra non certamente impeccabile. E chi meglio dello Zingaro (come lo chiamano i giornali) Milutinovic? Sa già 5 lingue e si appresta ad imparare la sesta, l’inglese. Unites States World Cup Team L’avventura con la nazionale statunitense è alquanto soddisfacente. Nel 1993 perde la finale di Golden Cup (più o meno i nostri Europei di calcio ma in salsa nord-americana) con il suo amato Messico ma la squadra è pronta per Usa ’94. Per il rotto della cuffia supera il Girone A dei mondiali dopo 1-1 con la Svizzera, la sconfitta per 1-0 con la Romania e la vittoria per 2-1 contro la Colombia. La squadra è scarsa ma fa quel che può. Agli ottavi, come con la Costa Rica 4 anni prima, conclude la competizione. A fermare gli Stati Uniti è il forte Brasile di Romario, Bebeto (clicca qui per leggere la sua storia) e soprattutto dell’allenatore Parreira che con Bora condivide la stessa intraprendenza ad allenare le nazionali dopo aver guidato il Kuwait nel 1982, gli Emirati Arabi Uniti nel 1990 e successivamente l’Arabia Saudita nel 1998 e il Sudafrica simbolo di Mandela nel 2010.

anni 90
anni 90

Per gli Usa è già abbastanza aver passato il turno e la partecipazione di Bora è ancora positiva. Ma finalmente si ritorna a vincere come in passato, ancora alla guida del paese di Villa. Ritorna per due anni ad allenare il Messico e nel 1996 conquista la Golden Cup dopo aver battuto nel girone il Guatemala, il St. Vincent & Grenadine e in semifinale ancora i guatemaltechi. La finale è con il Brasile ma grazie ad un ottimo Blanco il Messico è campione vincendo 2-0. Una piccola grande rivincita per Bora dopo la sconfitta contro i verdeoro agli ottavi di Italia ’90 quando allenava il Costa Rica.

Newly-appointed coach of Iraq's national
con Mestu, altro giramondo

Un quarto mondiale chiama e Bora risponde. E’ la Nigeria a convocarlo per Francia ’98. Nel girone D batte 3-2 la Spagna di Raul, la Bulgaria 1-0 e perde 3-1 col Paraguay. Per la quarta volta di fila ad un mondiale e con la quarta nazionale diversa Bora raggiunge gli ottavi di finale. A fermarla è la Danimarca di Brian Laudrup (clicca qui per leggere la sua storia), ancora un 4-1, risultato incubo per le avventure calcistiche di Milutinovic. Dal caldo africano ritorna a fare una piccola pausa in America alla guida del club del New York Metrostars senza fare sfracelli e dopo aver girato i 3 continenti Americano, Europeo e Africano è l’Asia a invocarlo per allenare la Cina in vista dei Mondiali in Giappone e Corea del Sud 2002. I cinesi non avevano mai partecipato ad un mondiale e Milutinovic, con la sua esperienza trascina la rossa formazione alla competizione più importante. Ma a differenza degli anni passati questa volta lo Zingaro si arrende al primo turno perdendo con il Brasile, la sua vecchia Costa Rica e guadagnando solo un punto con la Turchia. “Prima del Mondiale entrai in una chiesa per parlare con Dio. Lui mi ha chiesto: cosa vuoi, Bora? Ed ho risposto: segnare come la Francia!”. E Dio mantenne la parola. Francia e Cina furono in questo Mondiale, le uniche due squadre che non segnarono gol. “Certo che io però mi riferivo alla Francia del 1998!” confesserà Bora ai giornalisti. Non sempre Confucio, come la notte, porta consiglio ma ne è valsa la pena affrontare tutte queste avventure, tutti questi mondi diversi fra loro ma così uniti da un semplice pallone di cuoio. Bora è sempre un giramondo, come i clowns di Chaplin e Fellini e ancora oggi porta in giro una roulotte col suo faccio sorridente e la sua voglia di fare, rara per uno sportivo soprattutto quando arriva all’età di 70 anni. Dopo la Cina altri paesi come Honduras, Giamaica e Iraq e chissà quanti altri sorvolerà la mongolfiera di Bora Milutinovic, resistente ai venti ed ai fulmini del calcio.

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