Bebeto, il Settebello del Futebol

La vita è l’infanzia della nostra immortalità
J.Goethe

 

Ancor prima di Neymar, questo giovincello che fa spalancare in questa Confederation Cup le bocche delle genti sedute su seggiolini imbanditi di bibite allo stadio o su divani rilassanti e macchiati di gocce di birra ghiacciata, c’era un certo Josè Roberto Gama de Oliveira, in arte Bebeto a divertire con la maglia della nazionale carioca i tifosi del calcio. Classe ’64, gracile di fisico e non tanto alto rispetto alla media dei giocatori di calcio, 1,76 m, Josè formò col compagno Romario uno degli attacchi più forti mai visti sia fra le squadre di club sia fra le nazionali del mondo a cavallo tra gli anni ’80 e ‘90. Fu proprio questo accoppiata che trascinò il Brasile al suo quarto titolo mondiale in quel di Usa ’94, mondiale ahimè amaro per i nostri azzurri che si videro sfumare il titolo proprio ai calci di rigore, con Roberto Baggio che ciccò quel fatal tiro dal dischetto sparando la palla in alto alla porta di Tafarel.

Veloce, scattante ed ottimo dribblatore, dopo un breve periodo da trequartista alla Zico nella sua prima carriera da atleta e cioè nel Vitoria (fra il 1981 e il 1983) fu trasformato in centravanti, ruolo che si tenne stretto al cuore per tutta la carriera, sia quella sudamericana sia quella europea. Gli anni ’80 lo vedono gran goleador in squadre di alto calibro quali Flamengo e Vasco da Gama. Proprio col Flamengo conquistò da protagonista il primo titolo della sua carriera nel’86, il Campionato Carioca di Rio de Janeiro, vincendo a discapito della rivale storica Vasco da Gama. Ma come succede molto spesso oggigiorno che un attaccante di un club venga poi ceduto ad un team avversario, lo stesso avvenne con Bebeto nel’89. L’ex- Urubu, l’avvoltoio rossonero del Flamengo passò alla sponda nemica del Vasco conquistando subito il Campionato Brasiliano con 6 gol in 12 presenze. Nello stesso anno fu eletto da El Pais “Miglior calciatore Sudamericano del 1989”, diventando assieme a Romario l’unico giocatore a vincere questo titolo con la maglia del Vasco da Gama. Ma le gioie, prima di un lungo infortunio che lo vide fuori dall’abbraccio piumato della gloria per un paio d’anni, non si conclusero in quel di Rio de Janeiro.

Lo stesso anno alzò la anche la Coppa America battendo, senza subire alcun gol, l’Argentina, l’Uruguay e il Paraguay nel girone finale della prestigiosa competizione. Josè realizzò 6 gol e con Romario si venne a creare un duo inossidabile formando un Brasile che non era così forte dai tempi di Falcao e Zico. L’avvoltoio brasiliano si ferma per un’ala spezzata ma ritorna vivo più che mai a partire dal ’92 quando lascia la terra di Da Gama per approdare alla sponda degli altri conquistatori, non i portoghesi ma gli spagnoli. E’ il Deportivo la Coruña che lo chiama e Bebeto risponde. La sua classe è ormai non più parvenza ma concreta realtà. Nel campionato spagnolo, il suo primo europeo, segna, diventando capocannoniere, 29 reti in 37 partite, un vero record, un esordio folgorante in Europa che fa presagire i successivi successi con la maglia biancoblù: la Copa del Rey (2-1 al Valencia nella finale di Madrid) e la Supercoppa di Spagna (contro il Real Madrid, 3-0 all’andata e 2-1 al ritorno), entrambe nel ’95. Ma è sicuramente il 1994 l’anno più importante di Bebeto, l’anno che qualsiasi giocatore di calcio vorrebbe avere nella propria carriera, l’anno della vittoria della Coppa del Mondo.

In un paese insolito per il mondo del calcio, gli Stati Uniti d’America, Bebeto, Romario e compagni si trovano ad affrontare un girone facile facile con Russia, Svezia e Camerun. Bebeto trova il gol proprio contro gli africani il 24 giugno a Stantford. I suoi contropiedi micidiali e la forza fisica debordante di Romario preannunciano già una squadra probabile favorita alla vittoria mondiale. Il team di Parreira sembra avere pochi limiti, soprattutto con la vittoria negli ottavi contro gli ospitanti Usa (1-0 segnatura di Bebeto) e quella ai quarti, dopo una partita avvincente con l’Olanda (3-2 risultato conclusivo) con un Bebeto scatenato che dedica il suo gol del 2-0 al figlio Mattheus appena nato, mimando nell’esultanza il gesto del cullare il pargolo (che potete vedere nella foto), immagine indelebile di quei mondiali, caso raro di quel collegamento imeneo e puro fra sport e vita privata che tanto manca ai giorni nostri dove il calcio vien sporcato molto spesso da gossip e rumors privi di senso logico ed interesse. In semifinale Romario spazza con un gol la nazionale svedese e porta il Brasile in finale contro l’Italia.

Il 17 luglio in quel di Pasadena avviene l’episodio più tragico dal punto di vista calcistico del nostro paese, quel rigore sbagliato dal Divin Codino che costrinse l’Italia a perdere la finale ed arrivare al secondo posto. In Brasile invece fu un attimo entusiasmante, l’istante più bello del loro calcio con la vittoria del 4° titolo mondiale, il primo dopo le tre edizioni Rimet vinte, titolo che mancava da 24 anni, da quell’altra finale Brasile-Italia del ’70 con un certo Pelè. I rigori fatali giunsero dopo uno 0-0 caldo e abbastanza noioso di quella giornata americana. Bebeto e soci salirono sul tetto del mondo e il Brasile divenne la squadra più importante dell’anno. La carriera di Josè ha qui il suo culmine. I successi spagnoli furono il caffè all’immensa cena carioca di Bebeto che dal ’95 in poi subentrò in diverse squadre quasi mai da titolare, panchineggiando molto tempo fra infortuni e poca fiducia da parte di qualche allenatore pazzoide fino alla conclusione della sua carriera nel 2002. Anzi, fino al suo ultimo Mondiale di Francia ’98 dove perse la finale con la Francia a Parigi.

Quell’anno c’era un altro giovane campione, superiore a tutti quanti, Ronaldo un altro protagonista della staffetta della storia che vede lo scettro della gloria passare di mano in mano. Da Bebeto e Romario toccò a Ronaldo diventare il brasiliano più importante. Ora toccherà a Neymar ricevere lo scettro. Chissà se vincerà come Bebeto o come lo stesso Ronaldo un mondiale di calcio. La cosa certa è che i tempi cambiano e le emozioni degli anni novanta nessuno mai ce le potrà levare, a cominciare dai primi videogiochi della playstation tra i quali Fifa ’97 dove la prestanza e l’agonismo di Josè appariva stampata sulla copertina del disco con il numero 7 che tanto è rimasto impresso nell’immaginaria Hall of Fame del mondo del calcio.

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