Mourinho: scelta di cuore o di autoconservazione?

MOURINHO CHELSEA

E se José Mourinho avesse fatto una scelta un po’ codarda?  Sarebbe la prima d’altronde, da quando abbandonò la sua brillante carriera di secondo al Barcellona per mettersi in proprio. Colpa forse delle dimissioni improvvise di Sir Alex Ferguson, non ha potuto prendersi la  panchina da lui più ambita, che è finita in consegna invece all’ex allenatore dell’Everton, David Moyes. E così, sedotto (chissà poi quanto) e abbandonato dallo United, si è buttato a una velocità supersonica su quello che forse in questo momento è l’unico posto pronto ad accoglierlo davvero: il Chelsea di Roman Abramovich.

L’unico, perché in questo momento in Europa di panchine pronte a soddisfare le sue laute richieste d’ingaggio (e tecniche), a parte Manchester City e PSG, non ce ne sono.

Probabilmente, l’avventura a conti fatti negativa di Mourinho al Real Madrid, ha influenzato e pesato molto di più sul tecnico portoghese di quanto non ci si sarebbe aspettato. Il passaggio da una tifoseria a lui totalmente devota come quella dell’Inter a un’altra più schizzinosa e irritabile come quella del Real, per tre anni, e con una tale pressione, ha fatto sì che Mourinho ripiegasse su un lido sicuro dove avrebbe potuto tornare a essere amatocome lui stesso ha dichiarato. Nulla in contrario a questo, anzi, un po’ di sentimento nel calcio di questi tempi non può che far bene, ma che lui, l’uomo delle sfide per eccellenza, non abbia voluto rimettersi subito in gioco con qualcosa di nuovo è qualcosa che lascia un po’ scontenti. Certo, il ritorno a Londra e il dover bissare ciò fatto in precedenza (magari con una Champions in più) rappresenta già una consistente sfida, ma è davvero questo ciò che chi gli ha voluto sportivamente bene avrebbe voluto per lui? Probabilmente no. Anzi, il sogno che molti hanno è quello di vederlo sulla panchina del suo Portogallo, ciò che rappresenterebbe un mix perfetto tra amore e sfida, dato che i Lusitani sono storicamente la big perdente per eccellenza, mai consacrata da una competizione mondiale o europea.

C’è anche il rischio che per lui questa esperienza si ritorca in un boomerang: al Chelsea non troverà un’equipe di giovani campioni pronti a essere forgiati  a immagine e somiglianza del proprio tecnico come nel 2004, ma un misto tra vecchie glorie e campioncini viziati pronti a fare i fenomeni e ammutinarsi alle prime difficoltà come due anni fa con Villas Boas. Certo Mourinho resta lo Special one, e l’accoglienza che i giocatori gli tributeranno sarà sicuramente degna di lui, ma l’esperienza di Madrid ha dimostrato che anche il motivatore per eccellenza può rischiare di entrare in rotta col suo spogliatoio se capita all’interno di dinamiche difficilmente controllabili. Siamo certi che questa volta Mourinho curerà ancora più attentamente questo aspetto.

L’augurio, per lui, è che faccia il meglio possibile e che torni presto a lavorare con serenità, perché di Mourinho si può dire di tutto tranne che non ami il suo lavoro visceralmente. In questi anni, racchiuso in quelle tute ineleganti, e sempre più mogio, non pareva quasi lui. E’ stato fin troppo buono quando si è congedato dai suoi tifosi, gli stessi che l’hanno salutato con bordate di fischi, salutandoli con quello che è sembrato, se non un vero e proprio messaggio d’amore, sicuramente una grande e inaspettata dichiarazione d’affetto.

Ora quattro anni in blue (perlomeno sul contratto), e poi chissà. Per molti interisti a questo punto l’augurio è che rifaccia il giro da capo. Staremo a vedere come finirà.

 

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Intrattenitore nel mondo della comunicazione con la passione per il calcio d'antan, è un solista dentro e fuori dal campo, che predica da numero 7 ma razzola da numero 9. Fra il 98' e il 2002 ha inscenato ben 824 repliche dei Mondiali di calcio nella sua cameretta, e ricerca oggi la magia del calcio di un tempo nei campionati con un debito pubblico pericolosamente oltre la soglia di guardia.