Manchester United-Swansea 2-1: il passo d’addio di Sir Alex all’Old Trafford

MANCHESTER UNITED SWANSEA –  8 novembre 1986.  Da li a pochi giorni un giovanissimo Mike Tyson, pugile ventenne di belle speranze, conquista il primo titolo dei pesi massimi della carriera. Il muro di Berlino è ancora una solida realtà. L’ internet dell’epoca si chiama Videotel e il cellulare non è altro che il nomignolo con cui viene identificato il furgone della Polizia. In Italia spopolano i Duran Duran e Madonna, mentre l’italica canzone viene difesa dalla Nannini e dal suo “bello e impossibile”; in ambito cinematografico spopolano gli “Yuppies” e i “Top Gun” e la scena politica è dominata dal “Craxi II”.  In Inghilterra, al Manor Ground di Oxford, uno scozzese atipico, che soli tre mesi prima guidava la propria nazionale al mondiale messicano, fa il suo debutto sulla panchina di una gloriosa squadra inglese, a secco di successi da troppo tempo. Quel scozzese porta il nome di  Alex Ferguson, tecnico capace d’intromettersi in patria al duopolio “Rangers-Celtic”, ed in grado di trionfare anche in ambito europeo con il modesto Aberdeen.  La missione a cui è chiamato non è delle più semplici: riportare i red devils, a secco di successi in First Division da oltre vent’anni, sul trono d’Inghilterra. L’Oxford, rivale di quel lontano novembre, è una squadra alla seconda stagione nella massima serie, ma che l’anno precedente, al debutto assoluto nella classe regina, riuscì a trionfare in League Cup. Il debutto di Alex non è dei migliori: John Aldridge – futura leggenda degli odiati rivali reds – e Slater, piegano lo United. Quello United, brutto ed impacciato, scese in campo con questa formazione: Chris Turner,Mike Duxbury,Arthur Albiston,Kevin Moran,Paul McGrath,Graeme Hogg,Clayton Blackmore,Remi Moses,Frank Stapleton,Peter Davenport,Peter Barnes.

Oggi, 12 maggio 2013, quello scozzese reduce dal mondiale messicano, si è seduto ancora sulla panchina dello United. Sono passati ventisette anni. Tutto il mondo è cambiato, ma il manager, o meglio il Mister, dei red devils è sempre lui: Alex Ferguson, nel frattempo diventato Sir. In ventisette anni ne ha combinate di tutti i colori quello scozzese, nato tornitore, con la passione sconfinata per il mondo del calcio: ha vinto tredici Premier, riportando i red devils sul trono d’Inghilterra dopo ventisei anni di digiuno; ha conquistato diciannove trofei nazionali, arricchendo la bacheca dell’Old Trafford con la League Cup, trofeo mai conquistato prima; ha riportato i diavoli rossi sul trono d’Europa dopo trentuno anni e li ha portati, per la prima volta nella storia, in cima al mondo con la conquista dell’Intercontinentale. Numeri che lo fanno entrare, di diritto, nella storia del calcio. Ma i numeri, in questo caso, non riescono ad esprimere appieno quello che ha rappresentato Ferguson per lo United, il calcio inglese e, più in generale, per la storia di questo sport. Sir.Alex è stato passione, disciplina, rigore tattico e organizzazione. Ci sono allenatori che diventano grandi grazie al club d’appartenenza, e  ce ne sono altri, invece, che fanno diventare grandi i club dove prestano i loro servigi: Ferguson appartiene, senza discussione alcuna, alla seconda categoria.

E’ arrivato in un club sì glorioso, ma decisamente allo sbando. Lo ha ribaltato come un calzino, curando – forse primo nella storia del calcio d’oltremanica – anche la preparazione atletica ed instaurando un dialogo proattivo con quei calciatori dal “gomito” un po’ troppo alto (problema molto sentito all’epoca in Inghilterra), lui che non ha mai rinunciato ad un buon bicchier di vino. Ha curato in prima persona i rapporti con il settore giovanile, portando in prima squadra dei talenti assoluti come Giggs, Beckham, Scholes, Neville e chissà quant’altri che, al momento, non sovvengono. La passione per i talenti. Un vero “must” per l’allenatore scozzese, che in sede di mercato ha sempre privilegiato gli acquisti – anche molto onerosi – di giovani di belle speranze. Mentre i club italici, all’epoca ancora economicamente competitivi, discutevano se valeva la pena spendere cifre folli per un talento lusitano molto apprezzato, in terra natia, dal gentil sesso, lui, con fare scafato, staccava un assegno di diciotto milioni a favore dello Sporting e portava a casa un certo Cristiano Ronaldo, che, sei anni più tardi, rivenderà per la “modica” cifra di novantaquattro milioni. Certo, qualche errore grossolano l’ha fatto. Soprattutto nella scelta dei portieri, che si è rivelata felice in sole due circostanze: nel 91′ con l’acquisto di Schmeichel e, quattordici anni dopo, con la scelta – apparsa ai più disperata – del trentacinquenne Van der Saar, L’elenco dei calciatori diventati grandi – o che hanno spiccato definitivamente il volo – sotto la sua guida è lunga e infinita: Ince, Giggs, Beckham, Irwin, Cantona, Keane, Andy Cole, Gary Neville, Solskjaer, Yorke, Stam, Van Nistelrooy, Fletcher, Rio Ferdinand, Giuseppe Rossi, Rooney, Evra, Vidic, Park, Tevez, Nani, Smalling, Evans, Hernandez e tanti, tanti, altri.

Oggi, per quei pochi che non ne fossero al corrente, c’è stato il passo d’addio davanti ai propri tifosi. Sir. Alex, da attore consumato, è riuscito a trattenere l’emozione, dimostrandosi, da vero leader qual’è,  forte e fiero anche nel momento dell’addio. Non ci sono state lacrime. Né in campo, né sugli spalti. E di questo, c’è da scommetterci, lo scozzese ne andrà fiero. La partita, come tante della sua gestione, è stata decisa nei minuti finali da Rio Ferdinand, ma lo Swansea avrebbe decisamente meritato il pari. Poco importa, però. Oggi era la festa di Sir Alex, e vederlo sollevare le braccia al cielo per una vittoria, l’ultima nel suo stadio, è stato emozionante. Così come è stato da brividi il commiato finale: “È difficile spiegare cosa questo club significhi, non soltanto come staff, dirigenti e giocatori. Voi mi avete regalato il momento più straordinario della mia vita. La mia mente divaga, non so che dire. Ringrazio il Manchester United, il club mi è stato vicino anche nei momenti più difficili e non posso che pensare anche all’ottimo campionato disputato dai miei ragazzi, all’ultimo titolo vinto. Sono stato fortunato ad allenare giocatori tra i più grandi con la maglia del Manchester: quelli che vedete, quelli che hanno vinto i titoli. Sono loro che hanno permesso tutte queste vittorie. Questo non è il giorno in cui lascio, starò con voi a godermi le partite future”.                                                      Ferguson è lo United, lo United è Ferguson.