Non è proprio andata come previsto l’avventura dello Special One a Madrid, eppure a Oporto, Londra e Milano ancora si ricordano le gesta del portoghese. Il portoghese, con il suo carisma, è sempre riuscito a vincere ancor prima di sollevare i trofei, cosa è andato storto questa volta? Alessio Dell’Anna ci offre spunti di riflessione per provare ad indagare il divorzio tra due sposi perfetti. Ma certamente non fatti l’uno per l’altro.
Caro Josè, avrei immaginato tutto per te quest’anno al Real, ma mai che te ne andassi così come te ne andrai: subissato dai fischi del Bernabeu.
Un episodio tutt’altro che marginale, anzi storico oserei dire. E’ la prima volta infatti che te ne vai da una squadra senza lasciare un bel ricordo. Niente lacrime, niente abbracci, niente rimpianti. Hai sventolato orgogliosamente in conferenza stampa uno dei tuoi “pizzini” per ricordare a tutti, soprattutto ai giornalisti, che in fondo qualcosa di grande l’hai comunque fatto. Hai vinto tu la Liga dei record (101 punti), hai raggiunto tu tre semifinali di Champions in tre anni, contro le cinque in ventuno dei tuoi predecessori. Tutto vero. Ma, sei stato tu stesso a dirlo, sempre in quella conferenza ormai già storica: arrivarci vicino non basta, non è ai quasi che bisogna guardare, come un Ranieri qualunque. Come “special” hai inevitabilmente perso. Ammetterlo in fondo ti ha riabilitato da una fine che sarebbe stata ancora più ingloriosa.
Eri venuto a Madrid per realizzare il tuo progetto più glorioso, quello che avrebbe dato la dècima al Real, e a te la terza. Ma, al di là della Champions, che dopotutto neanche a Londra conquistasti, hai fallito laddove mai ti era riuscito farlo: farti amare. Tre anni senza un affetto di questo tipo sono lunghi, e ti hanno consumato, dentro e fuori, ancora più dello stress insopportabile che deve comportare allenare la squadra più grande del mondo. Il tuo viso era meno disteso, il tuo look più sciatto, la tua parlata più stanca, come se la concentrazione verso l’obiettivo impedisse di disperdere energia in qualsiasi altro modo. Hai lavorato tanto, ti sei impegnato, ma hai scelto forse la squadra sbagliata per quello che doveva essere il punto culminante della tua carriera.
Hai sempre tirato su eserciti di giocatori pronti a dare tutto per te, motivandoli a lottare contro chi rappresentava l’establishment calcistico, il mantra dei deboli contro i forti. Ma Madrid -la città della monarchia, del franchismo, del potere- non è debole. E’ un’ amante narcisistica che guarda solo a sè stessa e al suo mito: conservatrice, pura, blanca. Non accetta ingerenze né vati stranieri che ne mettano in discussione l’integrità reale. Ecco perché lasciare fuori Casillas ti è costato più caro di quanto pensassi. A poco è servito combattere con asprezza, troppa, pure per te, la guerra contro gli odiati rivali del Barcellona, quando ne avevi una civile all’interno della tua stessa società. Cosa non ha funzionato non lo so, so solo che ora che non ci sarai più avrò un motivo in più per detestare il Madrid, che tanta fatica ho fatto ad amare in questi tre anni, e che ho amato solo perchè c’era un tiranno ancora più forte da abbattere, il Barça, ma soprattutto perché a guidare quella rivoluzione (fallita) c’eri proprio tu.
Ora che tutto è tornato alla normalità, ora che le gerarchie in tutta Europa vanno redistribuendosi dopo la caduta congiunta (e chissà quanto casuale) delle due case reali di Spagna, spero che, dovunque andrai, continuerai ad apporre la tua firma.
Che la Spagna per te torni ad essere terra di conquista, sempre dietro le barricate di una sfida apparentemente scomoda e impossibile. E’ quello il posto per chi è Special.