Materazzi su France Football, ecco l’intervista integrale: nel mirino Ibra, Benitez, Leonardo e…Zidane!

Lei ha terminato la sua carriera da giocatore nel 2011, dopo 10 anni all’Inter. Perché in seguito non è più rimasto nel club?

Ho un contratto di rappresentanza con l’Inter. Se vogliono sfruttare la mia immagine e il mio lavoro, ne sarei felice. La maglia nerazzurra era la mia seconda pelle ma, effettivamente, oggi non occupo un ruolo ben definito. Sono andato, lo scorso autunno, ad assistere a un match tra le giovanili di Svizzera e Germania, ho stilato un rapporto e vedo tante partite in tv per conto dell’Inter. Non ho un problema col club, ma evidentemente non mi considerano all’altezza per ricoprire un ruolo dirigenziale.

Amareggiato?

No, affatto. Probabilmente nessuno riuscirà a vincere nella storia del club quello che ho vinto io in 10 anni con l’Inter. Può dirmi che Zanetti ha vinto una Coppa Uefa in più, ma nel frattempo ho vinto un Mondiale con l’Italia e uno con i nerazzurri nel 2010. Questo non è da tutti all’Inter. Nella vita, soprattutto nel calcio, non esiste la riconoscenza, per nessuno. Oggi le società sono delle aziende, non hanno nessun obbligo morale a trovare un posto da dirigente a chi è stato un grande giocatore. Ognuno deve fare il proprio cammino, se si incrociano tanto meglio.

Quali sono i suoi rapporti con Moratti?

Eccellenti. Quando ho saputo, nel 2011, di non rientrare più nei piani tecnici sono andato a parlare con lui e mi ha detto: “Fai quello che vuoi qui”. Ciò la dice lunga sul nostro rapporto. Ma non me la sono sentita di dirgli: “Resto”. Se non rientri tra i piani di un allenatore (all’epoca Leonardo, ndr), non è giusto restare. Per fare cosa? Non ero un ragazzino di 18 anni che non ha peso; ero un giocatore che aveva vinto tutto. Vista la stagione scorsa dell’Inter, penso che sarei potuto ancora servire.

Di cosa si occupa oggi?

Seguo un corso per diventare allenatore a Coverciano. Diventarlo è un obiettivo, ma non voglio farlo in Italia, piuttosto in Inghilterra. Voglio scoprire nuove cose. Mio padre era allenatore e da piccolo cambiavo spesso città: mi considero come un nomade, uno zingaro – nel senso buono del termine. Chi ha lo spirito nomade ha voglia di vivere, di conoscere nuove culture.

Chi è stato l’allenatore che l’ha più segnato?

Su 20 o 30 allenatori avuti, credo che soltanto un paio non mi abbiano apprezzato. Sono loro che devono fare un esame di coscienza, non io.

Tra quelli con cui ha avuto dei problemi c’è Rafa Benitez all’Inter…

Non so cosa gli sia preso. Non era il mio allenatore ideale. Se io fossi il proprietario di un club, non gli affiderei mai la squadra! Quello che non mi è piaciuto di lui, è stato il modo con cui si è presentato al gruppo. Voleva cambiare tutto, ma è partito col piede sbagliato. L’Inter del “triplete” era educata, lavoratrice, disciplinata e sapeva come comportarsi. Non puoi imporre un’altra disciplina. Un grande allenatore, come Mourinho o Lippi, fa valere le regole non scritte all’interno del gruppo. Benitez ha invece voluto scriverle le sue regole, dieci o dodici. Era come stare a scuola.

Cosa gli rimprovera, per esempio?

Alla Pinetina c’erano le foto degli allenatori che hanno vinto con l’Inter: Herrera, Mancini, Mourinho. Benitez ha fatto togliere quelle di José. La storia di un club non deve essere né cancellata né discussa. Con quel gesto ha dimostrato di essere una persona debole.

Benitez ha fatto togliere anche le foto di Mourinho che lei aveva nel suo armadietto alla Pinetina?

No, l’avrei ammazzato! Nel mio armadietto c’erano le foto dei miei figli, della mia famiglia, dell’Inter che vinceva, di Facchetti e – soprattutto – di Mourinho. Più di una foto. Mi ha insegnato tanto, soprattutto come uomo.

Lei era molto vicino a Mourinho. E’ stato per la sua fedeltà che l’ha fatta entrare al 92′ della finale di Champions contro il Bayern, a 36 anni?

No. Dopo aver eliminato il Barcellona in semifinale, mi disse che avremmo vinto 2-0 la finale, e che sarei entrato perché avrebbe fatto il suo ingresso anche Mario Gomez (in effetti entrato al 74′). Sentivo la fiducia di Mourinho. Poco prima della finale di Champions, ero stato titolare nella finale di Coppa Italia e nell’ultima giornata di campionato, decisiva per lo scudetto. Sapevo che contava su di me. Non importava giocare un secondo, un minuto o dieci contro il Bayern: sapevo che sarei entrato.

Dopo la finale di Madrid vinta, Mourinho non è tornato con voi a Milano per festeggiare, ma è restato nella capitale spagnola. Non vi ha infastidito?

No, non ci vedo nulla di male. Di fatto io, quella sera, ero arrabbiato con lui perché andava via, e sapevo che non avremmo più vinto. Negli ultimi due mesi di quella stagione, ho provato in tutti i modi a farlo restare, ma lui aveva già deciso. All’Inter, facevamo tutto per lui, perché sapevamo che lui dava tutto per noi.

Oggi che rapporto ha con Mou?

Una relazione vera, sincera. Ci sentiamo spesso, ci mandiamo SMS.

Non sogna di lavorare al suo fianco un giorno, nel suo staff?

Le cose non si devono chiedere. Ovviamente uno dei miei sogni è di lavorare con José. E’ meglio essere il suo vice per trenta anni che essere capo allenatore per due. Impari tanto da lui. Correrei al suo fianco, anche questa sera stessa.

Lei ha avuto anche Leonardo come allenatore e ha giocato davvero poco con lui. Alcuni dicono che di fatto ha messo la parola fine alla sua carriera, nonostante lei avesse ancora un anno di contratto. Alla Gazzetta ha rivelato di essersi sentito tradito, è ancora in collera con lui?

No, mi ha chiamato lo scorso ottobre. Non l’ho detto a nessuno. Quello che ci siamo detti, resterà tra di noi. Lui ci teneva a chiarire alcune cose, e ho apprezzato la sua telefonata. Ho avuto l’occasione di ridirgli quello che pensavo, quello che avevo detto ai giornali gliel’ho poi detto in faccia perché sono una persona vera. Mi sono sentito tradito da Leonardo perché gli avevo dato una grossissima mano nello spogliatoio, lui lo sa bene.

Crede ancora che si è sbagliato nel 2011?

Sì, in alcune circostanze. Non mi ha dato nemmeno la possibilità di giocare la Coppa Italia, tranne una partita. Quando c’erano giocatori con problemi fisici, quando c’era occasione di fare turnover e io stavo bene…avrei dovuto giocare.

Conosce bene anche un altro attuale parigino, Zlatan Ibrahimovic. All’inizio, all’Inter, andavate d’accordo poi i vostri rapporti si sono rovinati, perché?

Non lo so, dovreste chiederlo a lui. Quando è arrivato all’Inter la nostra relazione era buona, poi tutto è cambiato. Non siamo tutti forti come lui. Ma quando un compagno di squadra è in difficoltà, lo si deve aiutare, non massacrare. E’ il suo grande difetto. Una squadra non è soltanto un giocatore. E’ per questo, forse, che non è riuscito a diventare come Messi o Ronaldo. Che sia un fenomeno, uno tra i  migliori cinque al mondo, non c’è dubbio. E’ uno dei più grandi giocatori con cui abbia giocato. Ma si è veramente grandi quando ci si mette a disposizione del gruppo.

L’ha visto insultare dei compagni di squadra?

Spesso, succedeva di frequente. Vuole vincere tutto e, visto che a lui tutto riesce facile, non ammette che gli altri sbaglino.

La infastidiva quando se la prendeva con certi compagni?

L’ho vissuto in prima persona. Può farti soffrire, perché un compagno di squadra non dovrebbe mai comportarsi così. Ti insultava. Quando ho sbagliato un rigore col Siena alla penultima del campionato 2007-08, mi ha fatto pesare l’errore ripetendomi spesso che avremmo perso lo scudetto. Mi ha fatto vivere una settimana pesante prima dell’ultima giornata. Se ti comporti come un ragazzino di 18 anni è possibile devi aspettarti anche brutte reazioni. Ma io avevo 35 anni e le cose mi entrano da un orecchio ed escono dall’altro. Sono entrato in campo tranquillissimo la domenica successiva.

Ha avuto dei compagni che hanno sofferto per quei comportamenti?

Assolutamente sì. Chi ha un carattere più fragile soffre quelle cose. Ibrahimovic è un grande giocatore e anche un bravo ragazzo, generoso, ma sul terreno di gioco si trasforma. Tutta questa generosità. se non vince, può trasformarla in frustrazione. Perde la calma e ne risente il gruppo.

Era insopportabile in campo?

A volte sì. Che ti faccia vincere, non c’è dubbio. A Parma ci ha regalato lui lo scudetto nel 2008. Ma restano i suoi comportamenti, come quello contro di me. Alla lunga, con quest’attitudine, dovresti chiederti perché non vinci il Pallone d’Oro. Non è solo perché non vinci la Champions, ma anche perché devi migliorare a livello caratteriale…

E’ stato duro nei suoi confronti anche a Liverpool, nel 2008, quando dopo 30 minuti lei è stato espulso per una doppia ammonizione.

Non è mai colpa sua, e questo è un suo punto debole. Resti frustrato invece di mantenere la calma e di pensare ai tuoi errori. A Liverpool, attaccandomi, si difese. Ma nel 2010 ho vinto Champions e Mondiale per Club, quell’eliminazione mi è servita.

Parlando di Parigi, lo scorso novembre si è fatto fotografare a due passi dal Centro Pompidou, dove è stata eretta la statua del famoso colpo di testa di Zidane sul suo petto. Era una provocazione?

No, l’avevo vista già a New York, ma ho saputo poi che era stata spostata a Parigi. Trovandomi lì ho voluto ammirarla, era soltanto un mio desiderio di vedere un’opera d’arte. E poi è un onore essere raffigurato assieme a Zidane. Averla vista due volte è normale, sono il protagonista in quella statua. E visto che nessuno mi ha chiesto, né lo faccio io, i diritti d’autore, mi permetterete di fare due foto alla mia statua…

Com’è stato accolto dai parigini durante il suo soggiorno?

Era la prima volta a Parigi dopo la finale del Mondiale del 2006. Tutti sono stati gentili, educati, rispettosi. Sono stati perfetti, nessuno si è permesso di insultarmi.

Un anno dopo, durante Italia-Francia a Milano, lei era in tribuna – infortunato – con una t-shirt con su scritto “I love Paris”. Era una provocazione, vero?

Se uno va dieci o dodici volte a Parigi, è perché quella città gli piace, no? Quella maglietta era per dimostrare che Parigi era una delle mie città preferite. In più nessuno ricorda le due giornate di squalifica ricevute dopo quella finale, senza aver fatto nulla. E’ la sola volta, in tutta la storia di tutti gli sport, che un giocatore prende due giornate di squalifica per una provocazione.

Zidane si è poi scusato per quella testata?

Non mi sembra, ma non voglio farne un caso. Per farci fare la pace Kofi Annan e Mandela si sono mossi. Se non ci sono riusciti personaggi di questo livello…Le Nazioni Unite mi avevano chiamato, volevano fare qualcosa, mettere su una campagna. Mi hanno chiesto di fare foto, e credo abbiano chiesto lo stesso a Zidane. Ho accettato, ma a una condizione: di farle assieme a lui, e non separatamente per poi unirle. Non ho nulla da nascondere e posso guardare negli occhi Zidane.

Vi siete stretti la mano nel novembre 2010, in un parcheggio di un hotel a Milano…

Quando gli ho stretto la mano, sapevo che era lui. Lui ha poi detto che pensava che io fossi un tifoso, ma – al suo posto – non avrei stretto mai la mano di un tifoso. Secondo il mio parere, ha perso una buona occasione per fare una bella figura e mettere fine a questa storia. Per la gente, in quell’episodio, il cattivo sono io. E se Zidane avesse confermato la stretta di mano, tutti avrebbero poi detto: “Zidane è un signore, ha stretto la mano a quella merda…”. Ha perso un’occasione.

Se non ci fosse stata quella testata, si parlerebbe oggi del suo gol nella finale oltre al rigore realizzato?

Sicuramente, quando un giocatore segna due gol in una finale di un Mondiale è qualcosa che resta per sempre. Si parla ancora oggi di Gerd Muller, perché non si dovrebbe parlare di uno che fa due gol in una finale mondiale?

E’ d’accordo nel dire che senza l’infortunio di Nesta contro la Repubblica Ceca, lei non avrebbe giocato quella partita?

Sì, non l’avrei mai giocata, ne sono sicuro. Il destino non si sbaglia mai.

E’ deluso che di quel mondiale, dove segnò un altro gol importante contro la Repubblica Ceca, di lei ci si ricorda solo per l’episodio con Zidane?

A proposito…visto che il Pallone d’Oro lo assegnava France Football, perché non figuravo tra i 50 nominati, tra i quali c’erano Barthez, Sagnol e Thuram che di certo non giocavano a Barcellona (squadra che vinse la Champions nel 2006, ndr)? Sapevo che valevo quella lista, sarebbe stato un motivo d’orgoglio per me. Per me, e lo dico senza peli sulla lingua, è una vergogna per France Football. Con quel Mondiale disputato sarei potuto essere tranquillamente tra i primi dieci. Se non ci fosse stato nemmeno Zidane, sarebbe stato diverso (Zizou finì quinto, ndr). Se non ero in quella lista è solo perché ho rovinato i piani di qualcuno, forse ho pestato i piedi di qualche personaggio potente. Ma non era Zidane, in questo caso; siamo stati usati, nemmeno lui avrebbe voluto tutto questo.

E allora strumentalizzati da chi?

Da chi, probabilmente, preferiva uno Zidane campione del mondo e Pallone d’oro, come Johansson (allora presidente della Uefa) o Blatter. Non dovevo essere io, probabilmente, a vincere. E’ la mia convinzione, ma non posso insinuare nulla. E’ solo quello che ho visto.

Dopo il suo rigore realizzato, restò vicino alla bandierina del corner…

Avevo paura di guardare, piangevo, ridevo. Volevo essere lontano. Il quarto uomo mi invitò ad andare a centrocampo.

Quante volte ha rivissuto quella finale?

Due o tre volte. Ancora oggi mi chiedo: “Come abbiamo fatto a vincere?”. Quella Francia era nettamente più forte di noi.

Cosa ha pensato, da piccolo, quando suo padre voleva che lei diventasse un giocatore di basket, per la sua altezza?

Mi ha stimolato. Ho pensato: “Vedrai quando sarò io ad aver ragione”. Aveva dato il suo parere, sono contento e fiero di aver dimostrato che si sbagliava.

E’ vero che, per la vostra fama di giocatore duro, alcuni bambini hanno detto ai suoi figli: “Tuo padre picchia tua mamma”.

E’ vero, purtroppo i bambini ripetono quello che dicono i genitori. E’ la gelosia, sempre la gelosia. Gelosia e cattiveria non fanno parte del mio vocabolario. I più bei complimenti li ricevo quando a scuola mi dicono che i miei bambini sono educati. Ne sono molto fiero.

Sua madre è morta di cancro quando lei aveva 15 anni. Eppure, durante tutta la sua carriera, in Italia ha dovuto sentire sempre cori del tipo: “figlio di p…”. Come ha vissuto questi episodi?

In Italia non sapevano di mia madre. Cantano questi cori a tutti i giocatori, tentano di innervosire. La cosa più vergognosa è che nessuno prenda provvedimenti. E’ la stessa cosa dei buuu razzisti, la stessa vergogna. Dopo aver segnato in un derby contro il Milan, e aver mostrato il mio nome sulla maglietta, sono stato squalificato per aver provocato i tifosi avversari, uno scandalo! Avevo cercato di spiegare che ero in collera, e mi chiesero il motivo. “Perché sono dieci anni che mi chiamano figlio di p….”. In campo sono stato un giocatore duro, non mi sono mai tirato indietro e sono orgoglioso di ciò. Ero un duro ma non ho mai fatto del male a nessuno.

Il suo gol contro la Repubblica Ceca nel 2006…è stata sua madre?

Non lo so, ma probabilmente un segno del destino. Ho saltato così in alto, come se qualcuno mi avesse portato lassù…

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Sono Alfonso Alfano, 32 anni, della provincia di Salerno ma da anni vivo in Spagna, a Madrid. Appassionato di sport (calcio, tennis, basket e motori in particolare), di tecnologia, divoratore di libri, adoro scrivere e cimentarmi in nuove avventure. Conto su svariate e importanti esperienze sul Web.