Viv Anderson, il moro di Nottingham… al servizio di Sua Maestà

Se sei in un bar di Nottingham, in un pomeriggio qualsiasi, un pomeriggio autunnale di pioggia e stai sorseggiando un bicchiere di Bulldog Strong Ale e fra un salatino e l’altro pensi ai tuoi trascorsi, alle tue avventure giovanili che hanno nei loro percorsi esistenziali urla di gioia, riflettori da stadio e trofei calcistici fra le mani… Beh, forse puoi essere Viv Anderson. Classe 1956, Vivian Alexander Anderson è stato uno di quei giocatori al posto giusto al momento giusto e per posto giusto si intende l’appartenenza ad una delle squadre di club più forti della storia del calcio e cioè il Nottingham Forrest che nella seconda metà degli anni ’70 dettò legge sia nella propria terra sia in Europa. Vi militò per dieci anni, dal ’74 al ’84, lui difensore di colore, un black player” di razza, faccia da good boy e capelli da Jackson Five, costretto a rigar dritto con a tipacci quali Shilton, Lloyd, Burns e Robertson dagli ordini di uno Special One vissuto molto prima di Mourinho, un certo Brian Clough, uno dei più importanti allenatori di sempre. “Portami due pere e una banana”, questo diceva Cloughie a Viv per demolire con l’ironia lo squallido razzismo dei tifosi che lo bersagliavano con il lancio di frutta. Basta questo a spiegare il legame tra i due. Con la maglia del Nottingham Forrest, Anderson vinse tutto quello che c’era da vincere, realizzando in un totale di 328 presenze una quindicina di gol. Non male per un difensore. Ma andiamo in ordine cronologico. Nel ’78 fu la conquista del campionato inglese, la First Division, vinta con 64 punti – quando le vittorie valevano ancora due punti, ricordiamolo – otto in più del Liverpool di Pasley (all’epoca la più forte squadra europea), titolo praticamente dominato, bissato anche dai successi della Charity Shield e della Coppa di Lega Inglese. Un’annata davvero niente male, no? Ma lo spettacolo doveva ancora cominciare.

Nel ’79 e nel ’80 ecco la cima d’Europa e anche uno sparo secco alla John Wayne nel telo della storia: la messa in bacheca delle due Coppe dei Campioni. Con un gol di Francis, la prima Coppa fu alzata dalle mani di Viv e compagni la sera del 30 maggio all’Olimpico di Monaco contro il Malmoe al termine di una partita indimenticabile. La seconda, l’anno successivo contro l’Amburgo della volpe Magath (ne sa qualcosa la Juventus, che a pochissimi anni di distanza si vide soffiare il titolo europeo proprio da lui) con una segnatura di Robertson al Bernabeu di Madrid il 28 maggio. Il Nottingham diventa così la seconda squadra inglese dopo il Liverpool a vincere due coppe di fila e la terza, assieme al Liverpool medesimo e al Manchester United, a vincere la Coppa dei Campioni. In anni difficili, dopo gli ignobili pregiudizi razziali che imperversavano nel mondo, quella di Viv fu una bella vincita morale che trovò il suo apice con la chiamata alle armi della nazionale di calcio inglese, divenendo così il primo calciatore nero ad indossare la maglia biancorossa dei Three Lions, la stessa di Charlton, Moore, Peters e Hurst. In nazionale però non trova i successi del suo Nottingham e delle squadre di club venture in cui presenziò. Già perché il suo enorme piedone destro toccò palloni anche a Londra con la maglia dei Gunners dell’Arsenal dal ’84 al ’87 con i quali vinse una Coppa di Lega Inglese e persino con il Manchester United del sergente Ferguson dal ’87 al ’91. Di questi quattro anni, oltre ad una Coppa d’Inghilterra, si ricorda la conquista nel ’91 della cara e vecchia Coppa delle Coppe contro il Barcellona, in una finale che purtroppo non lo vide da protagonista in campo ma che gli permise di aggiungere altri trofei nella sua carriera calcistica. E’ forse con la squadra di Ferguson che si conclude la gloriosa carriera da giocatore di Viv, terminata con le maglie dello Sheffield Wednesday, del Barnsley e del Middlesbrough ma che, come un’alba primaverile, gli fa scoprire la voglia di allenare. Proprio con queste due ultime squadre di club Vivian, in campo, oltre a giocare nel suo magico ruolo da difensore, detta anche ordini ai compagni, diventando un esempio di calciatore-allenatore moderno, un generale Montgomery in pantaloncini e palla al piede, ruolo anomalo ma convincente, ripreso anche da giocatori quali Demol o il nostro Gianluca Vialli nel Chelsea.
Viv, come lo chiamavano i compagni di squadra, è una di quelle persone che avrà tanto da raccontare quando attorno al fuoco, con nipotini davanti agli occhi e tasche piene di mance da distribuire. Perché, in un modo o nell’altro, anche attraverso il calcio passa la Storia. Se si potesse dare una colonna sonora che riassuma l’intera sua carriera sarebbe senza alcuna ombra di dubbio God Save The Queen ma non quella che cantavano alla compagna di Giorgio II Hannover ma quella urlata dai Sex Pistols, così carica di emozioni e di vigore. E fra un salatino e l’altro, finita la Bulldog, Viv chiederebbe all’oste di riempirne giù nel boccale un’altra perché è sempre meglio ubriacarsi con un bicchiere pieno che con un bicchiere a metà e, una volta scolato il bicchierone, ringrazierebbe Clough che, Geppetto inglese, lo ha modellato da Pinocchio a uomo, ma soprattutto lo ha fatto diventare una pietra miliare in questa fitta rete di Viae che è il gioco del calcio.

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