Dolmy, il marocchino maestro di fair-play dice no al divismo

Abdelmajid Dolmy, 59 anni, è come la Grande Muraglia, il Grand Canyon o l’Acropoli di Atene: patrimonio dell’Unesco. Di monumentale aveva la stazza fisica e la vigoria atletica, ma il riconoscimento gli era stato assegnato nel 1992 in virtù del suo fair play. Mediano e difensore centrale, ruoli dove è spesso l’aggressività a farla da padrona, in tutta la carriera l’ex leader della nazionale del Marocco (140 presenze) non è stato ammonito o espulso una sola volta. Da qui i soprannomi di Al Oustad (il maestro) o Le dernier Mozart. Faceva parte di quella squadra che ai Mondiali messicani del 1986 si tolse il lusso di fermare la Polonia di Boniek e l’Inghilterra di Robson prima di liquidare il Portogallo di Futre. Il Marocco, c.t. il brasiliano Mehdi Faria, uscì agli ottavi con la Germania. «Decise Matthaus su punizione nel finale – racconta – ma fisicamente eravamo messi meglio di loro. Chissà cosa sarebbe accaduto nei supplementari…». Cinque anni dopo Dolmy abbandonò il calcio, ma non solo per appendere le scarpe al chiodo. «Ho giocato una vita per il Raja di Casablanca, avrei potuto diventare allenatore o rimanere nel mondo del calcio con altri incarichi». Ed è qualcosa che agli inizi era balenata nella sua mente. Dolmy però è un romantico, legato a un pallone ormai anacronistico. «C’è troppa pressione e divismo persino qui in Marocco. Meglio lasciar perdere». Più volte la federcalcio gli ha proposto la panchina dei Leoni dell’Atlas, ma alla sua porta hanno bussato club di tutto il Maghreb e persino di Sudan e Sudafrica. «Ricevo circa una decina di offerte ogni anno. Per principio ascolto tutti, sono una persona educata.Ma alla fine declino l’invito. Non fa per me». Il calcio non l’ha reso miliardario, ma gli ha dato la possibilità di guadagnare una discreta somma di denaro che ha investito in immobili nella sua Casablanca. È un evento raro vederlo allo stadio, e ha persino rifiutato un’offerta di Dubai Sport Tv per commentare le partite della Champions asiatica. Di recente ha aperto il cuore a una sola persona, al giornalista Karim Idbihi, che da fan è diventato il suo biografo ufficiale. Il libro, Il Maestro, è stato presentato alla presenza di centinaia di tifosi. Dolmy sorride di fronte all’investitura dell’Unesco, ma interpreta a modo suo il riconoscimento che gli è stato tributato 20 anni fa. «Giocatore più corretto del pianeta? Può anche darsi, credo però che il mio capolavoro sia stata la partita con gli inglesi a Monterrey. Dovevo prendermi cura di Wilkins, la loro fonte di gioco. Dopo pochi minuti era lui a cercare di contenermi, al punto che fu anche espulso».

Fonte: ExtraTime, Gazzetta dello Sport