Un altro come Klose o Podolski, Özil o Khedira: anche Mario Mandzukic poteva diventare tedesco. La rigida burocrazia gli ha ridato la nazionale croata, oltre alla nazionalità, ma la Germania era nel suo destino e l’attaccante ora ha più ammiratori a Monaco che nella sua patria: 11 gol in 15 gare nella prima stagione col Bayern. È il capocannoniere di Bundesliga (8 centri), dietro lo insegue anche Meier dell’Eintracht rivelazione: sabato la resa dei conti nel duello all’Allianz Arena. Mandzukic si ritiene fortunato perché è riuscito a non crescere fra bombe e cimiteri. Nato a Slavonski Brod, ora Croazia ma nel 1986 Jugoslavia. Cresciuto a poca distanza, Odzak, luogo bosniaco di confine quando la geografia è stata riscritta dal conflitto balcanico. In quelle zone contese, col divampare del conflitto sono spariti 27 bambini: non Mario e la sorella Ivana, emigrati con la famiglia a Ditzingen, vicino a Stoccarda, nel ’92. In paese c’è un club che ha un momento di celebrità, arrivando alla terza serie spinto da due ragazzini: Fredi Bobic prima, Sean Dundee poi. Entrambi diventeranno professionisti e nazionali tedeschi. Mato Mandzukic, il capofamiglia, era anche calciatore in Jugoslavia, si aggrega al Ditzingen e agli allenamenti porta il figlioletto. Ma nel ’96 il permesso di soggiorno non viene più rinnovato, la guerra è terminata e i motivi umanitari decadono. «Volevamo restare, non ci fu consentito», ha raccontato l’attaccante quando ha rivisto Bobic, ora d.s. dello Stoccarda: «Saluti a casa, Mario, ma oggi frena», gli ha detto l’ex compagno del padre. Il Bayern ne ha infilati sei, Mario uno.
Raggiungere i suoi modelli è sempre stato l’obiettivo di vita di «Manzu»: la sua carriera è migliore di quella del padre e sta superando anche quella di Ivica Olic, un amico che un tempo era il suo idolo perché faceva il fenomeno nel Marsonia Slavonski. I ragazzi delle giovanili si fermavano a guardarlo: Mario, tornato a casa, era fra di loro. Quando ha segnato al Wolfsburg (doppietta in settembre) non ha esultato non perché era la sua ex squadra (20 gol in 2 stagioni), ma «per rispetto verso Ivica» passato dall’altra parte. Quest’estate, dopo i 3 gol all’Europeo, lo cercava mezza Europa, ma Rummenigge ha pagato 13 milioni per averlo come riserva di Gomez. «Cercherò la competizione», ha detto. Un infortunio del collega lo ha messo subito fra i titolari intoccabili. «Io sono un combattente», spiega Mandzukic. Salihamidzic, altro profugo che ha fatto fortuna in Germania, lo ha battezzato «Strassekaempfer», letteralmente lottatore di strada, ma Mario vorrebbe negare: «Fuori dal campo sono pigrissimo, non porto nemmeno fuori il mio cane Lenni». I difensori non vedono questa indolenza.
Fonte: ExtraTime, Gazzetta dello Sport