La Copa America prosegue ed ecco arrivare i primi verdetti. Nelle scorse ore si è concluso il gruppo B, non tanto lo spettacolo a dire il vero. Il match tra Paraguay e Uruguay ha regalato poco calcio ma tanto agonismo, non dimentichiamoci che questo scontro è conosciuto come “Il derby della garra”. Diaz è stato bravo a sistemare l’albiroja nel secondo tempo, come ha già fatto al cospetto dell’Argentina. Botte da orbi nella fase conclusiva, ma almeno si è vista la voglia di farcela. La garra, appunto, cifra stilistica del calcio sudamericano (non tutto). L’Argentina è arrivata in Cile con grandissime aspirazioni, una rosa da urlo e il suo asso, Leo Messi, fresco di triplete con il Barça e voglioso di sollevare al cielo un trofeo con la nazionale. La gara di ieri contro la Giamaica è da analizzare, non con lo moviola, ma con un manuale di psicologia sotto mano. Il primo quarto d’ora di Higuain e compagni è stato quasi arrogante, il Pipita ha addirritura cercato platealmente il rigore. Giusta la voglia di vincere, ma gli avversari gli hanno fatto immediatamente presente il gap tra le due squadre. Subito il gol del centravanti partenopeo, due legni colpiti e poi… E poi niente.
L’Argentina si è dissolta alla distanza, Messi non è riuscito a festeggiare la presenza numero cento in nazionale per colpa sua ma anche per colpa dei compagni, che vivono uno strano complesso nei suoi confronti. Attacco a squadra schierata, Leo fronte alla porte serve un compagno e non fa in tempo a compiere uno spostamento di mezzo metro che la palla gli viene restituita. Impossibile per lui andarsi a cercare lo spazio per colpire, la sudditanza dei suoi compagni lo rende paradossalmente schiavo del pallone. Certo, anche lui ha le sue colpe, ma preferiamo non limitarci alla prestazione della Pulce. Questa Argentina sarebbe molto di più. Bene Pastore, perfettamente a suo agio col giro palla lento, è forse il giocatore che riesce a gestire meglio lo spazio a disposizione. Promosso anche Tevez, che entra in campo e si scaglia come un uragano contro i difensori avversari. Peccato però che giochi una partita che non c’entra niente con quella dei compagni. L’Apache è un rebus: corpo estraneo o l’elemento che manca per cambiare volto alla squadra? Lo scopriremo solo vivendo. Di Maria invece è una delizia, è l’unico a offrire la giusta verticalità.
Onore alla Giamaica, ben chiusa e pericolosa nella fase finale del match. Schafer ha fatto il possibile e qualcosa di più per plasmare un gruppo francamente modesto, partita di calcio interpretata alla perfezione. Accortezza sì, ma con il trascorrere dei minuti si è capito che l’impresa era possibile e i Raggae Boyz ci hanno provato. Fuori dalla Copa America dopo tre sconfitte, non dimentichiamoci però che parliamo della Cenerentola del torneo e si tratta di risultati di misura. L’impegno fa la differenza in questa competizione, l’Argentina pensava di vincere con un filo di gas e per poco l’arroganza non si è rivelata fatale. Bastava niente per chiudere il primo tempo sul tre a zero. I problemi di questa squadra non sono tecnici, il gruppo è straordinario e ricco di alternative, forse il Tata non ha saputo ben dosare le energie mentali dei suoi. Non basta un quarto d’ora di spettacolo per guadagnarsi la pagnotta, nell’intervallo c’era la possibilità di allargare il gioco e inserire subito Tevez in modo da aprire ulteriormente la retroguardia avversaria, ben coperta dal centrocampo a cinque disegnato da Schafer.
Adesso non si scherza più, l’Argentina si riscopra guerriera. I quarti sono il minimo sindacale.