“Tu, solingo augellin, venuto a sera
del viver che daranno a te le stelle,
certo del tuo costume
non ti dorrai; ché di natura è frutto
ogni vostra vaghezza”.
G. Leopardi
Ogni volta che beveva di sera un bicchiere pieno di cachaca per rimedio ai suoi frequenti mal di schiena, il piccolo Manoel do Santos (classe 1933) non sapeva che sarebbe diventato uno dei più grandi calciatori del Novecento. E sembra cosa pressoché impossibile se si pensa che ad una deformata spina dorsale si aggiungevano strabismo, sbilanciamento del bacino ed una gamba più alta dell’altra di 6 cm circa. I medici gli sconsigliarono da piccolo di giocare a calcio, la sua passione e con quel passo e corsa storpiati nei campetti di Pau Grande, in Brasile, gli fu accostato il nomignolo di Garrincha, piccolo uccellino che Manoel era solito acciuffare in qualche boschetto di paese. Fu Rosa, la sorella più grande, a dargli questo attributo vedendo nel fratello il piccolo passerotto brasiliano che leggiadro alternava voli e saltelli minuscoli tra alberi e prato. Il padre Amaro, indios della tribù dei Fulnio, gran bevitore e lavoratore tessile trasmise geni tabagisti a Garrincha che a soli 10 anni fumava tabacco come un soldato turco di frontiera. Finì presto gli studi e venne assunto nel 1947 nella fabbrica tessile America Fabril dove conobbe l’uomo che lo iniziò veramente al calcio, il capo stabilimento Boboco che gli propose di giocare nella squadra in cui era presidente, il Pau Grande, formazione composta perlopiù dai suoi operai.
Sotto il nome di “Francisco”, Garrincha tira i primi calci in vere partite diventando in pochi mesi una vera star tanto da attirare interesse per un’altra squadra, più in vista dal punto di vista economico-societario, il Serrano che gli propose una paga di 30 cruzeiros a gara. Il giovane Garrincha si trova a giocare tra Pau Grande e Serrano ma il cuore è fra gli operai e compagni dell’America Fabril e decide di continuare con Boboco. Nel 1950 un compagno di lavoro lo induce a fare un provino presso le giovanili del Vasco da Gama. “E’ senza scarpe e poi è storpio”, esclama il medico della squadra. Manoel non sembra risentirne dell’offesa recatagli anzi se fosse per lui resterebbe con la squadra dell’azienda, lui ama il pallone e giocare sotto al sole, a lui soldi e provini non interessano. Forse. Dopo aver sposato la fidanzata Nair Marques (che gli darà 8 figli) tutto cambiò nel 1952, anno cruciale per Garrincha quando durante una partita amatoriale, l’ex giocatore Araty Viana, presenziando lì come arbitro, notò le giocate incredibili del brasiliano e ne fiutò l’affare. Il Botafogo necessitava assolutamente, per completare il suo gioco, di un’ala destra, ruolo di Garrincha nel Pau Grande e lo propose alla importante società bianconera.
Il 20 giugno ’53 avvenne uno storico provino nell’amichevole fra le riserve e i titolari del Botafogo nel quale militava il grande Nilton Santos (clicca qui per leggere la poesia in suo onore). Dopo aver dribblato in seguito ad una azione Nilton (leggenda vuole che gli abbia fatto un tunnel) la società bianconera non ebbe dubbi: Garrincha era di fatto un giocatore della Stella a cinque punte. Amaral, preparatore atletico del Botafogo disse “E’ un ottimo giocatore ma dribbla troppo”. Ed in effetti è proprio il dribbling il punto di forza di Manoel, caratteristica che lo pose in poco tempo sull’olimpo del calcio brasiliano e mondiale. Nel giro di pochi anni è già un campione, lo vuole la Juventus (che aveva appena acquistato dai bianconeri brasiliani Da Costa e Luis Vinicio) ma costa troppo. Beve, tanto anche. La gente lo trova nei bar di Rio de Janeiro dalla sera all’alba. Tradisce la moglie Nair con una ragazza giovane di nome Iraci (da cui avrà altri due figli). Ed è il tormentato amore con Nair a causargli stati depressivi e dipendenze d’alcol sovraumane. Ma in campo pare un’altra persona. Il 22 dicembre 1957 batte la Fluminense 6-2 e conquista da protagonista assoluto, assieme a Didì, il Campionato Carioca, una gara dove Garrincha dà il meglio di sé, in maniera iperbolica e Telè, campione della squadra avversaria sussurra a Nilton “Dì a Manoel che avete già vinto la partita, non c’è bisogno che ci umili in questo modo”.
Sono i prodromi al mito. Feola non ci pensa neppure un secondo a convocarlo per i mondiali di Svezia 1958 assieme a giocatori fenomeni come il compagno Nilton Santos, Vavà, Didì, Pelè e Djalma Santos (clicca qui per leggere la poesia in suo onore). Ma a causa del suo modo di fare che Nilton Santos descriverà come “la sua essenza calcistica”, Manoel un mese prima del mondiale rischiò la convocazione dopo l’amichevole con la Fiorentina di Julinho (allora l’ala destra più forte del mondo) per via del solito atteggiamento spocchioso che infastidì la società del Brasile durante la gara, per i suoi dribbling spettacolari ma a volte inutili per il gioco tattico dei carioca (umiliò il terzino viola Robotti in occasione del gol, fermandosi davanti alla porta vuota, dopo averlo scartato, aspettandolo per dribblarlo una seconda volta prima di mettere la palla in rete definitivamente). Ma il preparatore Amaral convinse i capi alla convocazione. Dopo un test psichico pre-mondiale che risultò insufficiente per Garrincha e persino per Pelè, test mentale sotto la media rispetto alla gente comune, il piccolo passero è pronto per la competizione. Rumors che volevano la nazionale titolare carioca, per ordine della società, composta da bianchi perché i giocatori neri risultavano “instabili e nostalgici” (e colpevoli di aver perduto la finalissima con l’Uruguay nel 1950) al pubblico mondiale furono smentiti dalle prestazioni epocali di Garrincha, Didì e Pelè. Nel Girone 4 il Brasile incontrò Austria, Inghilterra e Russia, conclusosi con 5 punti e col passaggio ai quarti. Proprio con la Russia Garrincha fece il suo esordio da titolare, occupando il posto dell’ala Joel che giocò le prime due gare.
In tre minuti il passero prese una traversa e fece l’assist a Vavà che infilò in porta il gol del vantaggio carioca. “I tre minuti più sublimi della storia del calcio” dirà il giornalista francese Hanot. Ai Quarti di finale fu la volta di Pelè che stese il Galles e nelle semifinali, con un secco 5-2, fu la Francia di Fontaine (clicca qui per leggere la sua storia) e Kopa (clicca qui per leggere la sua storia) a soccombere alla corazzata brasiliana. Nella finalissima ecco il padroni di casa, la fortissima e biondissima Svezia di Liedholm e Skoglund.
Ma Garrincha pare un alieno quel 29 giugno, nessuno lo ferma sulla fascia destra e il passero fa quello che vuole, dribbla tutti, fornisce assist a raffica a Vavà e Pelè e contribuisce a far vincere al suo Brasile per la prima volta un mondiale. Quei 6 cm di differenza tra una gamba e l’altra sembrano la distanza che separa l’uomo da Dio e lui manco se ne accorge, non si rende conto che è il brasiliano più forte del mondo e con Pelè forma una coppia stratosferica. Alla Svezia lascia il suo estro, il suo genio calcistico e anche una giovane cameriera incinta, l’ennesima relazione post matrimonio. Il cachimbo scorre a fiumi, un niagara di alcol gli percuote le arterie. In campo però smaltisce tutto con gli “Olè” dei tifosi del Botafogo che accompagnano le sue azioni e che ancora oggi sono presi a paradigma di apprezzamento e stupore per giocate in campo fuori dal comune e per sfottò agli avversari. Garrincha, il piccolo passero dal becco di diamante, è una manna per gli occhi. Gli propongono un intervento alla gamba ma lui rifiuta per paura che potesse metterlo K.O. dal punto di vista fisico nel futuro avvenire. Quella malformazione è la sua fortuna. In campo non ha schemi, è come Dioniso, anarchico e libero di agire come meglio crede e vuole. Vince altri due Campionati Carioca, nel ‘61 e nel ’62 dove segna due gol e un’autorete alla Fluminense.
Il giornale O’ Globo lo esalta raffigurandolo 11 volte sulla copertina, stando ad indicare che il Botafogo intero era solo lui, Garrincha. Nello stesso anno conquista anche coi bianco neri la coppa del Torneo San Paolo. Arrivano i mondiali di Cile 1962. In occasione di una festa canora per la competizione, Garrincha si innamora perdutamente di una cantante che quella sera affiancava Louis Armstrong, la brasiliana Elza Soares con la quale condivideva l’infanzia povera e tragica. Caricato dalla meravigliosa vista di quella fanciulla, più qualche decina di alcolici, e da un migliorato tiro ad effetto, Manoel affronta il suo secondo mondiale, importante quanto quello precedente, che lo portò definitivamente nell’Olimpo del calcio.
Nel Girone 2, passato senza difficoltà, i carioca incontrano Messico, Spagna e Cecoslovacchia. Il Brasile è sempre quello di prima più l’aggiunta di Amarildo, grande giocatore compagno di Garrincha poi passato al Milan e alla Fiorentina. Ai quarti Manoel realizza una storica doppietta contro l’Inghilterra più un assist a Vavà, stessa cosa in Semifinale contro il Cile. In questa occasione Garrincha, stufo dei continui falli subiti, falcia il difensore cileno Rojas trovando l’espulsione ma la società carioca, assieme al Governo Brasiliano, fanno immediatamente ricorso e Garrincha si trova a giocarsi la finalissima. Fortunatamente. Il calcio ha delle regole ma a volte è giusto che vadano infrante! In finale è la volta della Cecoslovacchia di Masopust (futuro pallone d’oro) e con un netto 3-1 il Brasile è ancora campione del mondo.
Garrincha alza la sua seconda Coppa Rimet ed è lui il protagonista della competizione, ancora una volta i suoi assist micidiali sono il fulcro del mondiale brasiliano. 4 reti, capocannoniere dei carioca con Vavà, il passero di Pau Grande è sulla bocca di tutti. E’ impossibile studiarne le mosse in campo, è imprevedibile come un bambino con il cucchiaio in mano, lui Peter Pan del calcio che saltella come un garrincha. Ma l’anima soave di Manoel mostra anche il suo lato crudo e nudo. Continua a bere come un forsennato, ha problemi finanziari, divorzia da Nair e lascia gli otto figli. La sua vita ora è con la moglie Elza. Viene minacciato in casa sua dalle guardie di Branco perché la nuova moglie è una riformista amica del presidente Joao Goulart. Intanto arriva il golpe fascista nel 1964. Si trasferisce a San Paolo e dopo 12 anni con il Botafogo veste la maglia dei campeoes del Corinthias nel 1966. Fa traboccare il vaso la goccia dell’operazione al menisco compiuta dal medico dell’America anziché da quello del Botafogo: la società lo multa e i rapporti si incrinano. A San Paolo però non trova lo spazio che merita, dilaniato dal disagio fisico e dall’usura al ginocchio che lo tormentavano già da anni, sostituito spesso dal compagno di squadra Flavio e abbracciato dal negativo approccio coi compagni di squadra che lo vedevano come un alcolizzato e attaccabrighe. Resta pochi mesi al Corinthias e passa al Vasco da Gama non giocando praticamente mai. Salta in fuggevole modo da una squadra all’altra, racimolando qualche soldo per la moglie e l’alcool. L’ultimo suo flebile urlo il gol contro la Bulgaria nel girone di Inghilterra 1966, ultimo mondiale giocato in cui il Brasile uscì subito di scena, lontano dai fasti del passato. E qui inizia la seconda parte della vita di Garrincha, anni dal penoso scenario esistenziale. Il 13 aprile del 1969 un fatto tragico lo porta ad una forte depressione che causò un abuso maggiore di alcol. Fa con la sua auto un incidente stradale grave e nello schianto con un furgone muore la suocera, la madre di Elza. Rischia due anni di prigione ma lui nega di essere stato sbronzo al momento dell’impatto. Viene sospeso a libertà condizionata e tenta il suicidio in casa per inalazione di gas.
La moglie, per liberarlo da questi incubi, lo costringe a cambiare aria. Si trasferiscono a Roma dove Garrincha lavora come promoter per l’Istituto Brasiliano del Caffè ed Elza prende denaro utile al mantenimento della casa continuando il mestiere di cantante. Dopo aver vissuto successivamente a Torvaianica la coppia si arrabatta come può ma in Brasile Garrincha è ormai un traditore. Per non incombere in ulteriori minacce ritornano in Brasile nel 1972. Garrincha in preda al delirio e soffocato dai debiti litiga e continuamente con la moglie che lo lascia pochi anni dopo, abbandonandolo mentre lui ha una relazione con un’altra donna, l’ultima della sua vita, Vanderleia, vedova di un ex giocatore di calcio. Fanno assieme una figlia ma Garrincha continua ad uscire da una clinica all’altra, la cirrosi è al suo culmine e non lo perdona la notte fra il 19 e il 20 gennaio 1983 quando viene ricoverato d’urgenza dopo una solita sbronza nelle bettole di Rio de Janeiro. Muore in ospedale, a soli 49 anni uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi, solo, di sera, dopo aver visto l’ultima volta il sole di Rio e con in testa la luce riflessa nei suoi occhi della Coppa Rimet che vinse due volte, come se una non gli fosse bastata, morto per un bicchiere di rum in più, come se uno non gli fosse bastato mai. Se un dio gli chiedesse “Dove sei stato Manoel?” lui risponderebbe “Sono andato a dormire troppo tardi”.
Sulla sua tomba l’epitaffio “Qui riposa in pace colui che fu la alegria do povo, la gioia del popolo, Manè Garrincha”.
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